Studiare sul sito di un artista, un esempio con Yves Klein

Come si può studiare esplorando il sito di un artista? È una domanda che mi sono fatta nel momento in cui ho cominciato a raccogliere gli indirizzi delle pagine web monografiche in questo elenco.
Ci sono siti affascinanti, ben organizzati, capaci di aprirti un mondo. Perché di un artista non mostrano solo le opere più note ma tutto quello che c’è stato prima, durante e dopo, permettendo di coglierne tutta la complessità. Uno dei miei preferiti è quello di Arman, una vera esplosione di fantasia.

Certo, tuffarsi nell’opera completa di un autore senza avere nessun riferimento può creare confusione. Ben vengano, dunque, le sintesi proposte nei libri secondo un approccio storiografico e le semplificazioni con “etichette” attribuite ai singoli autori.
Ma occorre anche andare oltre e smantellare con pazienza quelle costruzioni monolitiche, anche partendo dal lavoro di un singolo artista. Oggi voglio provare a farlo con il sito di Yves Klein (1928-1962), autore dalla vita breve ma intensa alla quale è stato dedicato un portale molto ben organizzato.

Ma chi era Klein? Possiamo leggerlo subito nella ricca sezione biografica.

È stato un artista concettuale francese vicino al Nouveau Réalisme, nato a Nizza nel 1928, il cui percorso originale anticipa la Body art e gli happening. Lo ha reso celebre l’invenzione nel 1956 di una tonalità di blu straordinariamente intensa da lui ribattezzata International Klein Blue. Per realizzarla ha usato pigmenti blu oltremare legati con una resina sintetica capace di rendere il colore ancora più saturo (mentre i leganti tradizionali come la colla di pesce, la caseina o l’olio di lino tendevano a spegnerne la brillantezza). Con il suo colore Klein ha realizzato circa duecento tele monocromatiche, lisce o con materiali naturali (come sassi e spugne) applicati in rilievo.

In verità è una pittura espressionista, ancora prima che concettuale. Perché, come spiega Klein, “avvertire l’anima, senza spiegazioni, senza parole e dipingere questa sensazione – questo è credo ciò che mi ha portato alla pittura monocroma”.
Dal 1960 inizia a realizzare le Antropometrie, opere ottenute ricoprendo di vernice blu il corpo di alcune modelle e facendole appoggiare sulla tela per lasciare una “traccia di vita“.

La creazione delle Antropometrie, a sua volta, era un happening, un evento artistico accompagnato dalla Sinfonia Monotona, un’opera musicale ideata da Klein nel 1947 e composta da una sola nota.

Nel 1962, anno della morte prematura per infarto (aveva solo 34 anni), Klein fa appena in tempo a inaugurare un nuovo percorso a metà tra il Pop e il surreale: dipinge del suo blu alcuni modellini di statue classiche come la Vittoria di Samotracia e la Venere di Alessandria, trasformandone completamente il significato. Da modelli di bellezza, le antiche sculture sono diventate forme astratte e spirituali, annullate nell’intensità di un colore che Klein definiva “la più perfetta espressione del blu“.

Dunque, se pensiamo a Klein, viene in mente subito il suo blu e forse le antropometrie, ma basta andare alla voce Works del suo sito per scoprire, con un colpo d’occhio, che il monocromo blu non è il filone principale del suo lavoro.

Alla voce monocromo, infatti, troviamo numerose tinte piatte, dalle tonalità più differenti.

Ci sono anche monocromi rosa e monocromi dorati (chiamati per questo Monogolds). Questi ultimi, realizzati tra il 1959 e il 1960, ricordano analoghi esperimenti di Piero Manzoni degli stessi anni basati sul bianco e sulle texture superficiali (gli Achrome), la cui ispirazione sarebbe venuta proprio dai primi monocromi blu di Klein.

Il lavoro sulle superfici pittoriche include anche le Peintures de Feu, i dipinti di fuoco. Creati negli stessi anni dei Monogolds (e nello stesso periodo in cui Alberto Burri lavorava alle Combustioni), sono costituite da tele annerite da una potente fiamma e spente con acqua. Non si creano gli arricciamenti alla Burri, ma sfumature cupe, come quelle lasciate sulle pareti di una casa incendiata. La cosa interessante è che di ogni categoria di opera sono disponibili anche video, foto e documenti di ogni genere. Dunque possiamo anche vedere come Klein lavorava con il fuoco, assistito da un pompiere che in qualche modo diventava coautore dell’opera.

Ma la parte più sorprendente, direi quasi dadaista, è quella delle opere immateriali. Questa, per esempio, è una sala dedicata alla “sensibilità pittorica immateriale“. Il suo vuoto contiene la pittura contemporanea, fatta solo di “radiosità”. Come spiega Klein: “Se il processo creativo ha successo, questa immaterializzazione invisibile e intangibile della pittura dovrebbe agire sui veicoli sensibili o corpi dei visitatori della mostra molto più efficacemente dei normali dipinti visibili, siano essi figurativi, non figurativi o addirittura monocromi.”

Ancora più estremo è il Salto nel vuoto del 1960, un balzo nella materia-spazio di cui è fatta l’arte. È un’operazione che Klein così descrive: “Sono il pittore dello spazio. Non sono un pittore astratto ma, al contrario, un artista figurativo, realista. Siamo onesti, per dipingere lo spazio devo essere in posizione, devo essere nello spazio“.
È chiaro che tutta l’operazione ha senso solo nello scatto fotografico che l’ha immortalata, ma è un’immagine che è riuscita a dare esattamente il senso che voleva l’autore: Klein, infatti, non sembra cadere quanto piuttosto librarsi. Possiamo immaginare che, essendo campione di judo, cintura nera 4° dan, l’artista sia atterrato senza farsi un graffio.

Cosa si può apprendere dalla visita al sito di Klein? Intanto che il suo blu non esaurisce tutta la sua produzione artistica. Secondo: che la sua opera andava in parallelo con tante ricerche simili e che in alcuni casi ha anticipato tendenze nate più tardi. Terzo: che vedere l’artista al lavoro rende tutto molto più autentico e interessante, dando una vitale concretezza anche all’oggetto meno comunicativo.

Si può pensare anche di lavorare con i contenuti del sito realizzando, ad esempio, una linea del tempo che sintetizzi il percorso artistico dell’autore, come quella sul sito The Art Story. Oppure una mappa concettuale per rintracciare i macro-temi e le loro declinazioni.

Passando dalla teoria alla pratica: quante attività possiamo tirare fuori dallo studio dell’artista sul suo sito? Sicuramente molti spunti per laboratori didattici: il monocromo sopra superfici “lavorate”, ad esempio, è un interessante esercizio di manualità e di composizione. Meno consigliato, invece, il tentativo di emulare il salto da un muro…

Studiare sul sito di un artista può diventare anche una lezione su come strutturare il sapere. Osservare la mappa del sito, la struttura dei menu e dei sottomenu, può tradursi in un analogo esercizio di organizzazione dei contenuti. Per esempio si può partire da un artista minore, un autore locale (ma anche un grande artista italiano, visto che purtroppo pochissimi hanno un sito monografico dedicato) e realizzargli il sito. Come sempre, le occasioni per imparare non mancano, neanche partendo da materiali digitali. Anzi, sapendoli usare, possono completare coerentemente lo studio che si fa sui libri.

 

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6 risposte

  1. LuanaLombardo ha detto:

    Estremamente interessante. Ti ringrazio per gli spunti

  2. Luisa ha detto:

    Ho letto con grande interesse questo tuo articolo, Emanuela. E sono subito andata a sfogliare The Art Story, che non conoscevo. È veramente ben strutturato e in continuo aggiornamento. Interessantissimo. Peccato sia tutto in inglese (non è esattamente un mio punto di forza). Comunque, il traduttore aiuta. Grazie per aver condiviso con noi e come sempre grazie per il contributo a favore dell’arte che ci offri incessantemente con i tuoi post. Grazie Emanuela.

  3. Marino Calesini ha detto:

    Molto interessante.