Bizzarro e surreale: l’elefante nell’arte

È l’animale terrestre più grande del mondo. Simbolo di saggezza, di pazienza e persino di castità. Lento, buffo, ma anche potente e, quando gli gira, pericoloso e aggressivo.

Sarà per questo che l’elefante è stato raffigurato senza soluzione di continuità nell’arte di ogni epoca. E forse è proprio un elefante il più antico oggetto artistico mai prodotto dall’uomo. Talmente antico (è datato a 35.000-40.000 anni fa) che non si tratterebbe nemmeno di un elefante ma del suo antenato, il mammuth.

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Sempre in età preistorica non mancano rappresentazioni più recenti (si fa per dire) incise sulle pareti di tante caverne sparse per il continente africano.

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L’elefante doveva essere in tutta l’Africa preistorica una presenza talmente comune che se ne trovano tanti esempi anche nell’arte egizia, soprattutto in epoca pre-dinastica (nell’età dei faraoni, quando il clima divenne più secco, si spostarono verso sud).

In questo caso si tratta di tavolozze per cosmetici realizzate in pietra e sagomate secondo la forma stilizzata di un elefante. Su questa tavoletta veniva polverizzato il pigmento a base di galena e malachite usato per truccare gli occhi con uno spesso contorno nero.

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Qualche raro esempio è presente anche nella produzione artistica della Mesopotamia.

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La comparsa degli elefanti nell’arte greca avviene soprattutto in età ellenistica. Alessandro Magno fa coniare una gran quantità di monete e medaglie con l’immagine dell’elefante dopo aver affrontato questi animali negli scontri con il re persiano Dario I.  Sull’altro lato della moneta si può trovare un arciere, il suo ritratto di profilo o la testa dell’amato cavallo Bucefalo.

Ma gli elefanti da guerra erano una realtà consolidata in India e la prospettiva di doverne affrontare migliaia nella sua avanzata verso est portò Alessandro a ritornare a Babilonia. Qui formò un suo esercito di elefanti che utilizzò con successo nelle battaglie successive.

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Dalla Grecia la figura dell’elefante transitò nel Mediterraneo. Sappiamo che Annibale attraversò le Alpi con 37 elefanti (morti quasi tutti di freddo) e che Filippo V di Macedonia usò gli elefanti da guerra contro i Romani. Attrezzati con una torretta sulla groppa, questi elefanti da combattimento sono spesso raffigurati in piccole sculture in terracotta.

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I Romani rappresentarono spesso questo bizzarro animale, che inizialmente li aveva terrorizzati, con le più svariate tecniche. Molti sono i mosaici con la cattura dell’elefante, con l’animale isolato o con la lotta tra il pachiderma e un felino.

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Dal mosaico alla scultura il passo è breve… ed ecco apparire l’elefante nei grandi sarcofagi monumentali con il trionfo di Dioniso (II d.C.), completamente decorati in bassorilievo.

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A differenza di tanti soggetti dell’arte classica, l’elefante non scompare affatto nel Medioevo. Anzi, in quanto animale bizzarro e straordinario, ha riempito pagine e pagine di bestiari e codici miniati. È piuttosto evidente che siamo lontanissimi dal realismo della scultura romana: gli illustratori medievali, probabilmente, di elefanti veri non ne avevano visti mai!

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L’unico elefante giunto in Europa di cui si ha notizia è quello che Carlo Magno si fece regalare dal califfo Harun al Rashid. Un bellissimo esemplare, chiamato Abul Abbas di cui, però, non restano immagini dell’epoca ma solo un affresco dell’XI secolo. Se la storia vi intriga la trovate in questo splendido post.

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Intanto nelle aree orientali a religione induista erano già molto diffuse le immagini di Ganesha, il dio dalla testa di elefante, uno tra i più potenti e per questo oggetto di grande adorazione.

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Elefanti interi decorano spesso le pareti esterne dei templi indù.

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D’altra parte l’elefante era per gli Indiani talmente familiare che ne fecero oggetto anche di proverbi e modi di dire. Uno dei miei preferiti: se davanti a te vedi tutto grigio sposta l’elefante!

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Ma torniamo dalle nostre parti, nel Basso Medioevo. L’elefante compare nella scultura non più come animale da guerra ma come simbolo di tenacia in alcune chiese romaniche di tutta Europa, dalla Francia alla Spagna, fino alla Puglia.

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Anche il Rinascimento avrà il suo bravo elefante passato alla storia. È Annone, l’elefante bianco di papa Leone X, dono del re del Portogallo Manuele d’Aviz. In questo caso ne abbiamo delle raffigurazioni fatte da un artista d’eccezione, quello stesso Raffaello che in quegli anni lavorava a Roma alle Stanze Vaticane.

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Sempre della prima metà del ‘500 è l’affresco che Rosso Fiorentino ha dipinto nella Galleria di Francesco I al Castello di Fontainebleau. Qui l’elefante reale è allegoria della forza e della prudenza del re.

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Torna a richiamare l’elefante da guerra la grande scultura cinquecentesca del Sacro Bosco (o Parco dei Mostri) di Bomarzo. L’animale, ispirato a quelli di Annibale, porta sulla schiena la tipica torretta da combattimento e sorregge con la proboscide un legionario romano esanime.

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Della stessa epoca è un altro elefante da battaglia, ancora più fantasioso. Quello della grande tela attribuita a Hieronymus Bosch, il maestro olandese misterioso e visionario. In un accampamento caotico, tra mille particolari pieni di simboli, campeggia il pachiderma sormontato da una buffa torretta uscita direttamente da una favola.

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Ma andiamo avanti nel tempo. Siamo nel 1629, siamo in Olanda e il principe di Orange, come già Carlo Magno, desiderava avere un elefante e altri animali esotici per sfoggiare il suo potere. Dallo Sri Lanka (allora l’isola di Ceylon) arrivò ad Amsterdam, nel 1633, Hanksen, un’elefantessa indiana più volte disegnata da Rembrandt attraverso schizzi tanto rapidi quanto efficaci.

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Un’usanza, quella dell’elefante come attrazione di corte, che Giandomenico Tiepolo racconta in un suo disegno del 1797.

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Ma torniamo al Barocco e alla scultura con l’elefantino ideato da Gian Lorenzo Bernini nel 1667 per papa Alessandro VII e collocato in piazza della Minerva, a Roma. Qui l’animale, che torna a significare sapienza e solidità, porta sul dorso un obelisco egizio rinvenuto un paio d’anni prima in un convento.

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Settant’anni dopo, l’idea di Bernini (a sua volta ripresa da un’immagine della Hypnerotomachia Poliphili, un romanzo del ‘400)sarà riproposta dall’architetto siciliano Giovanni Battista Vaccarini per la famosa fontana dell’Elefante di piazza Duomo a Catania. Nell’ambito della ricostruzione barocca della città dopo il devastante sisma del 1693, Vaccarini sistemò sopra un elefantino in pietra lavica di origine bizantina (conosciuto dai Catanesi come “u liotru“) un obelisco che era stato portato a Catania durante le crociate.

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Del 1820 è un’incisione di Francisco Goya che vede l’elefante come mai prima di allora. Intitolata “La follia degli animali”, mostra il pachiderma minaccioso, con lo sguardo spiritato mentre punta verso alcuni personaggi sulla sinistra. Altro che saggezza!

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Ormai è finita l’epoca dei simboli. Con l’Ottocento l’elefante smette definitivamente di rappresentare la forza, la castità e tutti gli altri attributi che nei secoli gli erano stati affibbiati. Ora è oggetto di studio più che altro formale. Eadweard Muybridge, ad esempio, lo immortala in una delle sue tante cronofotografie (1884) per poterne studiare l’andatura. 

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Con l’inizio del Novecento l’elefante finisce nel giro dell’Art Nouveau e dell’Art Deco e si ritrova a diventare un pesante fermacarte in vetro nelle mani di René Lalique o una sculturina in bronzo nei lavori di Rembrandt Bugatti.

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Ma ormai l’elefante è pronto per una nuova vita. Con Alexander Calder, alla fine degli anni ’20, diventa di volta in volta una sagoma vuota in fil di ferro o un ammasso di materia appena sbozzata.

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Nel 1941, con il cartone animato di Walt Disney, diventa Dumbo, l’elefantino volante. È la sua prima versione surreale: l’animale pesante e goffo per antonomasia che diventa leggiadro come una farfalla.

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A questo punto è gioco facile per Salvador Dalì recuperare i vecchi elefanti con obelisco e farli avanzare sopra sottili zampette di ragno…

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Un elefante surreale è un elefante atletico, leggero. Come quello di questo delizioso corto del 2004, capace di volteggi degni del miglior ginnasta.

Negli ultimi tempi è tutto un fiorire di elefanti surreali. La maggior parte sono immagini digitali di grande effetto.

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Non mancano scatti fotografici spiazzanti…

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… o estremamente poetici come quelli di Greg Colbert.

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Insomma, c’è una quantità di elefanti nell’arte davvero impensabile. Quando ho cominciato a raccogliere immagini per questo articolo non credevo di trovarne così tanti. Evidentemente è un animale-icona. Un bestione che continua ad affascinare con le sue forme così particolari. Non è un caso che sia stato stilizzato in decine e decine di marchi…

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Ma ci sono anche molte sculture contemporanee a base di elefanti! Lontane anni luce dall’esempio di Bernini, ci consegnano delle versioni assolutamente originali. C’è l’elefantino di Keith Haring, decorato con i tipici motivi, che sembra essere stato richiamato da quello di Banksy. C’è l’indiana Bharti Kher col suo elefante fiacco e poi c’è Maurizio Cattelan con “Not afraid of love”, un elefante che si nasconde spaventato sotto un lenzuolo bianco.

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Ma il mio preferito è quello di Daniel Firman, un elefante capovolto che si regge sulla proboscide. Un vero equilibrista, una sfida alla gravità e alla nostra pigrizia visiva. Un’installazione sorprendente in quello stesso castello di Fontainebleau dove abbiamo già incontrato l’elefante di Rosso Fiorentino.

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È un elefante decisamente bello, “bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio…” come diceva Max Ernst a proposito dei quadri surrealisti. Bello come è bello ogni oggetto che ci fa sorridere e ci riporta alla gioia primitiva dell’infanzia.

 

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32 risposte

  1. Mario Da Re ha detto:

    ottimoi articolo quello sull’elefante, sintetico e comprensibile nei testi e piacevole nelle immagini

  2. Franco Aurelio Meschini ha detto:

    Molto interessante! Una domanda: Aristotele, nella sua Historia Animalium parla molto di elefanti, Werner Jaeger, nella sua opera dedicata ad Aristotele (trad. it. 1935) ritiene che le notizie ad essi relative fossero accessibili ad Aristotele solo dopo la spedizione in India di Alessandro Magno (di dui era stato maestro) e che quindi l’HA sia almeno in parte posteriore a quella spedizione. Lei cosa ne pensa? in altre parole, a lei risluta che i greci fino ad allora non conoscessero gli elefanti e, più precisamente, le loro abitudini, i rudimenti della loro anatomia e soprattutto i tempi e i modi della riproduzione? La ringrazio, rinnavandole i complimenti per la bella ricerca

  3. Gianfranco ha detto:

    Louis Buñuel e Salvador Dalí, surreali e surrealisti e grandi amici, ritratti da Woody Allen in “Midnight in Paris” (rinoceronti al posto di elefanti):
    https://www.youtube.com/watch?v=4LYtqmvEsX0
    Altro film imperdibile in cui si incontrano, oltre a Buñuel, Dalí e Man-Ray, anche Hemingway, Francis Scott Fitzgeral e Zelda, Picasso e Modigliani, Toulouse-Lautrec, Gauguin, Degas … straordinario Woody.

  4. Fabio G. Tosi ha detto:

    Articolo godibilissimo, sulla vicenda di Annone c’è la bella monografia di Silvio A. Bedini, “The Pope’s Elephant”, J.S. Sanders & Co., Nashville TN, 1998.

  5. Luca Mazzocco ha detto:

    Salve mi complimento per il bellissimo articolo, ho visto che nella sezione romana ha inserito il mosaico a colori con la nave e l’elefante che viene posto sopra, può per caso fornirmi i riferimenti bibliografici di quel mosaico?

  6. Carmela ha detto:

    Wow che belli elefanti!

  7. Francesco Calò ha detto:

    salve, sono un Dottore di ricerca in Storia dell’Arte e docente di arte alle superiori, complimenti per il sito innanzitutto e per l’articolo. L’argomento mi è molto caro visto che ho dedicato all’elefante uno studio specifico sulla sua iconografia nel medioevo, le allego l’indirizzo per poterlo leggerlo e eventualmente scaricare se volesse approfondire ulteriormente un’iconografia vasta e complessa, come cerco di chiarire.
    CORDIALI SALUTI

    https://www.academia.edu/16625867/LElefante_Imperiale_tra_Bisanzio_e_lOccidente_uniconografia_anti-bizantina_nella_cattedrale_di_Trani_in_Porphyra_n._23_anno_XII_pp

  8. Ginevra Capra ha detto:

    La ringrazio per averci dato l’opportunitá di approfondire le ricerche di questo animale

  9. angela ha detto:

    Complimenti, come sempre!

  10. maria teresa ha detto:

    Che post stupendo ! sono entusiasta ! Un richiamo ecologico, alla tragica sorte di questi animali e al triste destino delle aeree naturali ove hanno sempre vissuto, sarebbe stato un tocco di attualità nella tematica “elefante”.

  11. Marino Calesini ha detto:

    gradevolissimo ed esauriente. ancora complimenti

  12. paola ha detto:

    Gentile professoressa, vorrei dare un piccolo contributo e segnalare un altro elefante “storico”: il simbolo della famiglia di Malatesta Novello di Cesena, scolpito sul timpano del portale della biblioteca Malatestiana con il motto “Elephas Indus culices non timet” (“L’elefante indiano non teme le zanzare”) …
    Complimenti per il Suo sito.
    Paola Bussei

  13. Laura ha detto:

    come sempre affascinante ed esaustiva. La ringrazio per questo studio sull’animale che amo di più e vorrei inviarle una fotografia di Bombey l’elefantessa che ha rallegrato la mia infanzia nello zoo di Milano

  14. gabriella speranza ha detto:

    ottimo articolo, complimenti

  1. 28 Maggio 2016

    […] Un articolo del sito didatticarte.it parla della costante presenza degli elefanti nella storia dell’arte. […]

  2. 29 Maggio 2016

    […] La représentation des animaux sont aussi une voie d’accès privilégiée vers l’art pour les tout petits. A signaler, un spécial « Eléphants » dans cet article d’histoire de l’art en langue italienne, richement illustré : Bizzarro e surreale: l’elefante nell’arte  […]

  3. 20 Giugno 2016

    […] Bizzarro e surreale: l’elefante nell’arte. di Emanuela […]

  4. 1 Luglio 2016

    […] Quindi oggi gli elefanti si trovano altrove – e per la precisione su Didatticarte. […]

  5. 11 Dicembre 2016

    […] article on didatticarte […]

  6. 9 Giugno 2017

    […] Sorgente: Bizzarro e surreale: l’elefante nell’arte […]