Gli asparagi tra arte e letteratura

“Non c’è alcun rapporto fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima. Quelli sono un legume appartenente alla famiglia delle asparagine, credo, ottimo lessato e condito con olio, aceto, sale e pepe. Alcuni preferiscono il limone all’aceto; anche eccellente è l’asparago cotto col burro e condito con formaggio parmigiano. Alcuni ci mettono un uovo frittellato sopra, e ci sta benissimo. L’immortalità dell’anima, invece, è una questione; questione, occorre aggiungere, che da secoli affatica le menti dei filosofi.”

Un incipit fulminante, quello di Asparagi e immortalità dell’anima, con cui il grande Achille Campanile ci scaraventa nel suo universo di raffinati paradossi e mi aiuta ad aprire un pezzo su un soggetto artistico marginale ma gustoso: gli asparagi nelle opere d’arte.

Ho iniziato a collezionare immagini a tema quando ho letto il post del blog Senza Dedica con il simpatico racconto dell’asparago di Édouard Manet, un unico stelo poggiato sul bordo del tavolo dipinto dall’artista nel 1880.

Quell’asparago solitario è stato realizzato per sdebitarsi del generoso compenso – più del pattuito – ottenuto per il dipinto più conosciuto dedicato a questo ortaggio, un mazzo di asparagi poggiato su verdi foglie di verdura davanti a uno sfondo scuro. Una scelta cromatica che fa apprezzare in maniera particolare la pennellata luminosa e sintetica di Manet.

Tuttavia la composizione non è nuova. Qualcosa di molto simile, ma con un livello di dettaglio fotografico di matrice fiamminga, era stato già realizzato a fine Seicento dal pittore olandese Adriaen Coorte.

A quanto pare Coorte doveva amare molto questo soggetto, considerato il numero di dipinti – tutti molto simili – dedicato al mazzo di asparagi.

Ma torniamo a Campanile. Dopo aver esaminato ulteriori insanabili differenze tra gli asparagi e l’immortalità dell’anima, ecco che trova un’affinità: “Vediamo ora se e in quali direzioni si possano ricercare punti di contatto fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima. Questa e quelli possono generalmente considerarsi cose gradevoli. Difatti, se l’anima non fosse immortale, nulla resterebbe di noi e questo sarebbe molto sgradevole. Di tutt’altro genere è la gradevolezza degli asparagi, che graditi sono al palato“.

A questa gradevolezza aggiungerei quella visiva, un aspetto su cui si è soffermato invece Marcel Proust in un passo della sua Recherche: “M’indugiavo a guardare, sulla tavola, dove la sguattera li aveva appena sgusciati, i piselli allineati e numerati come bilie verdi in un gioco; ma sostavo rapito davanti agli asparagi, aspersi d’oltremare e di rosa, e il cui gambo, delicatamente spruzzettato di viola e d’azzurro, declina insensibilmente fino al piede – pur ancora sudicio del terriccio del campo – in iridescenze che non sono terrene. Mi sembrava che quelle sfumature celesti palesassero le deliziose creature che s’eran divertite a prender forma di ortaggi e che, attraverso la veste delle loro carni commestibili e ferme, lasciassero vedere in quei colori nascenti d’aurora, in quegli abbozzi d’arcobaleno, in quell’estinzione di sete azzurre, l’essenza preziosa che riconoscevo ancora quando, l’intera notte che seguiva ad un pranzo in cui ne avevo mangiati, si divertivano, nelle loro burle poetiche e volgari come una favola scespiriana, a mutar il mio vaso da notte in un’anfora di profumo”.

Questo connubio di colori e sapori mi fa venire in mente le zuppiere settecentesche a forma di mazzo d’asparagi, una vera chicca da portare in tavola.

Ma quando ha inizio la rappresentazione degli asparagi nell’arte? Incredibile a dirsi, è con la civiltà romana che si trovano i primi esempi. Affreschi e mosaici raccontano usanze alimentari molto vicine alle nostre, come quella di tenere gli asparagi in un fascio e di unirli ad altri prodotti.

La raccolta degli asparagi è invece il soggetto di una pagina dello splendido Tacuinum Sanitatis del 1400, un trattato medievale illustrato che riprende l’originale dell’XI secolo dello studioso arabo Ibn Butlân.

Da qui si passa in un sol balzo alle nature morte del Seicento nelle quali gli asparagi fanno parte – quasi sempre – di un insieme ricco di sapori.

Il successivo periodo d’oro degli asparagi nell’arte è il tardo Ottocento, con la fioritura delle nature morte di matrice impressionista.

L’idea è sempre quella di un prodotto semplice, umile, ma allo stesso tempo bello da vedere.

Gli asparagi del Novecento proseguono lungo la strada della semplificazione…

… arrivando, in alcuni casi, a un deciso rigore geometrico.

Nello stesso peridodo gli asparagi compaiono anche nella fotografia. Se ne occupa negli anni Venti Karl Blossfeldt, autore di centinaia di scatti dedicati ai vegetali dei quali coglie l’essenza formale con grande nitidezza.

Negli anni Sessanta invece, l’asparago trova un nuovo momento di gloria con le Polaroid di Marie Cosindas. Nei suoi scatti la fotografa americana enfatizza l’uso del colore in modo pittorico cercando contrasti tra complementari dentro composizioni baroccheggianti.

Il racconto di Campanile verrà pubblicato pochi anni dopo, nel 1974. E, come il resto della raccolta, è una deliziosa divagazione che trasforma la banalità in una funambolica passeggiata surreale. Questo il finale:

“Mi accorgo che casualmente m’è venuta sotto la penna un’analogia del tutto accidentale fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima: m’è capitato, cioè, di dire che, se l’anima non fosse immortale, nulla resterebbe di noi; invece, essendo essa immortale, resta molto, resta la parte migliore di noi. Anche degli asparagi resta molto, purtroppo; ma al contrario di noi, non la parte migliore o più nobile. Anzi resta la peggiore, il gambo. Tuttavia, esso resta in misura considerevole, il che non sempre avviene nel caso d’altri vegetali già cotti, come, per esempio, gli spinaci, che sono interamente commestibili. Forse questo è l’unico punto di contatto fra l’immortalità dell’anima e gli asparagi e sono lieto di averlo trovato, sia pure involontariamente e per mero caso, perché questo dà un contenuto positivo all’indagine che ci eravamo proposti e ci procura dei risultati che vanno oltre le più ottimistiche previsioni. Ma, ripeto, è un contatto puramente formale ed esteriore, in quanto c’è una bella differenza fra l’anima e un gambo d’asparago! Non solo, ma questa analogia del tutto formale non è nemmeno esclusiva degli asparagi, poiché anche i carciofi si trovano nella stessa situazione, quanto a percentuale di scarto.
Per concludere e terminarla con un’indagine che la mancanza di idonei risultati rende quanto mai penosa, dobbiamo dire che, da qualunque parte si esamini la questione, non c’è nulla in comune fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima”.

E tuttavia qui un’analogia l’abbiamo trovata, perché l’arte ha saputo eternare gli asparagi salvandoli da ogni forma di deperimento terreno. Li ha resi immortali in modo definitivo e sicuro, più certo perfino dell’immortalità dell’anima!

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13 risposte

  1. Mario ha detto:

    Se unite un buon cibo all’arte, bhe, direi che avete vinto! Un articolo gustosamente piacevole! Grazie!

  2. Dina Marinucci ha detto:

    Grazie infinite per i tuoi articoli, sono veramente interessanti e provocanti anche per il mio lavoro di insegnante. Bellissimi questi capolavori che ci fai conoscere. Nel “ mazzo di asparagi” di Manet riconosco nella verdura sottostante gli strigoli, una piantina a lunghe foglie che offre una profumatissime salsa, davvero buona come gli asparagi. Grazie Emanuela, ciao.

  3. Luisa ha detto:

    Che buoni quelli verdi…con le uova sode.
    Alcune riproduzioni sono a dir poco fotografiche, non immaginavo tanto interesse per questo ortaggio. La stagione è quella giusta..quindi buon appetito, delizia per gli occhi e per lo stomaco.
    Grazie Emanuela.

  4. Salvatore Alessandro Turturici ha detto:

    E come cantava Franco Battiato, “E mi piaceva tutto della mia vita mortale,
    anche l’odore che davano gli asparagi all’urina” (cit. Testamento – Battiato Francesco / Sgalambro Manlio).

  5. Eveline Jonker ha detto:

    Una giornata grigia, pioggia, ma gli asparagi ed i Suoi commenti sono una pura gioia!

  6. Eveline Jonker ha detto:

    Che gioia vedere e leggere i Suoi articoli!

  7. Marino Calesini ha detto:

    Interessantissimo .grazie