Le competenze sono come un setaccio

Questa è la storia di un insuccesso. Un test per competenze con esiti sconfortanti.

Un terzo della classe ha avuto una valutazione insufficiente, anche gravemente insufficiente. E non è un dato fisiologico. È un fatto su cui ho voluto riflettere coi ragazzi.

Vediamo di cosa si trattava. Una verifica in terza sul David di Donatello, la Trinità di Masaccio, la Pala di Brera di Piero della Francesca e la Nascita di Venere di Botticelli. Naturalmente non ho chiesto di descrivere le opere ma di individuare e spiegarne solo alcuni aspetti: per il David e per la Pala di Brera gli elementi rinascimentali, per la Trinità il funzionamento della prospettiva e per la Venere gli elementi di derivazione classica.

Cosa è successo? Che nelle sei righe predisposte per dare la risposta (dunque sintetica e circoscritta all’argomento richiesto) ho letto di tutto. Descrizioni di opere diverse da quella indicata, analisi di aspetti non pertinenti il quesito, spiegazioni incomprensibili o espresse in modo confuso.

Insomma, in pochi casi è stata capita davvero la domanda. E non capire la domanda è più grave di non sapere la risposta.

Eppure quella decodifica degli aspetti di un’opera è un tipo di lavoro che facciamo sempre in classe: mostro il dipinto, la scultura o l’edificio e prima ancora di spiegarlo cerco di far trovare ai ragazzi quegli elementi linguistici che ne indicano l’appartenenza ad un periodo artistico o allo stile personale di un artista.

Evidentemente però tutto questo non è confluito nello studio fatto sul libro. Non è diventato la traccia per strutturare quella mole di informazioni indifferenziate che ricevono leggendo. Finiscono così per immagazzinare sullo stesso piano dati fondamentali e dettagli più che secondari.

Allora per spiegare ai ragazzi quello che voglio da loro ho usato la metafora del setaccio. Separa, filtra e permette di gerarchizzare i contenuti. Se uso il setaccio ‘Rinascimento’ tutto quello che rimane dopo averlo agitato saranno ambienti in prospettiva, architetture classicheggianti, corpi proporzionati e ponderati, volti idealizzati, paesaggi profondi, tridimensionalità delle figure, riferimenti alla mitologia.

Se uso il setaccio ‘Arte classica’ anche la prospettiva scenderà giù con tutte le altre informazioni non pertinenti (anche se nel secondo e terzo stile della pittura romana c’era già, ma nel Quattrocento viene reinventata da capo).

Il setaccio è creato dalle famose competenze. Quelle abilità a manipolare il sapere come un giocoliere. Apprendere, dunque, è imparare a fabbricare il setaccio giusto all’occorrenza. Quello che permette di cogliere l’iconografia e distinguerla dall’iconologia, tanto per andare su cose ancora più raffinate. Quello che estrae da una pennelleta la poetica dell’autore o la storia sociale di quell’epoca.

È un lavoro duro e non è un processo automatico. Questo insuccesso è in parte anche mio. Significa che non ho fatto lavorare abbastanza i ragazzi su queste modalità di apprendimento, che in qualche momento ho dato per scontato parole, concetti e modalità operative. So già quanto sia delicato il meccanismo della comunicazione

Allora rimbocchiamoci le maniche. Un compito andato male non deve essere uno smacco ma l’occasione per rivedere la rotta e la meta, raddrizzare il timone e riprendere il viaggio.

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Le immagini di questo articolo sono testi visuali di Harald Stoffers

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44 risposte

  1. Anna Giannelli ha detto:

    Non ho parole .Come sempre quando con immagini o riflessioni mi consente di condividere, di partecipare al suo mondo.

    Insegno materie letterarie in un liceo scientifico. E quello che mi regala con i suoi post è linfa vitale, è sprone ad andare avanti, è il filo di Arianna per arrivare alle parole che vogliono, che sanno comunicare.

  2. Alesatoredivirgole ha detto:

    Refuso commento precedente: Elementi di derivazione classica = setaccio NERO (scriverò le sei righe di risposta con la penna di colore nero), ecc.

  3. Alesatoredivirgole ha detto:

    Bella l’idea del setaccio!!
    Probabilmente ci hai già pensato Emanuela ma, osservando una delle immagi sopra, ho pensato si possa abbinare a ciascun setaccio un colore specifico, ad esempio:

    – Elementi rinascimentali = setaccio rosso (scriverò le sei righe di risposta con la penna di colore rosso)

    – Prospettiva = setaccio blu (scriverò le sei righe di risposta con la penna di colore blu)

    – Elementi di derivazione classica = setaccio rosso (scriverò le sei righe di risposta con la penna di colore nero), ecc.
    In questo modo i contenuti delle sei righe di testo, ovvero i materiali setacciati, saranno classificati, ben separati e riconoscibili anche a colpo d’occhio.
    Il colore agisce quindi come un vero e proprio confine di demarcazione, un “territorio narrativo” sul quale ti puoi focalizzare in modo preciso su concetti e parole.
    Al termine della prova, osservando il foglio, sarà un po’ come osservare dall’alto una distesa di campi coltivati… pronti a dare buoni frutti.
    Funzionerà? Non so, è soltanto un’idea.
    Recentemente anche io ho fatto ricorso a diversi setacci, non è stato facile ma grazie ai colori è stato… possibile.

  4. alberto ha detto:

    Letto solo ora con grande interesse il post e i commenti, disseminati in un lungo anno a seguire… ll blog è unico, non si può pensare a E.P. senza riconoscenza. E poi, la scelta degli insensati grafismi di Stoffers, compiti in classe degli Ultimi Giorni, è prova di un gran senso dell’umorismo.

  5. Agata Gueli ha detto:

    La questione di fondo è sempre quella del sapere leggere e comprendere il testo. Ricordo ancora quando una docente di Storia dell’Arte in una scuola media contestava il fatto di dovere seguire il percorso di formazione- intriso di sperimentazione-sulla lettura che la sua Dirigente mi chiese di fare con l’intero Collegio. La collega sosteneva che lei doveva Insegnare a leggere l’opera d’arte, non il testo. Ma dovette progettare con ne diverse Uda sulla competenza di lettura, tenendo conto anche del fatto che ogni opera d’arte è un testo.
    Si entusiasmó via via che progettava e constatava che i suoi alunni miglioravano apprendimento e atteggiamento, cioè elevavano i loro livelli di competenza.
    Una storia, questa, che ho visto ripetersi negli ultimi anni in cui ho continuato ad occuparmi di formazione dei docenti sul tema del sapere leggere e comprendere i testi.

  6. Olivia ha detto:

    È capitato anche a me…nella verifica successiva ho provato a far fare lo stesso esercizio ma con opere che non conoscevano. È andata meglio secondo me perché non avevano appigli contenutistici che a volte confondono (se lo so meglio dirlo pensano spesso gli studenti). È la stessa ragione per cui non utilizzo libri di testo!

  7. Alessandro Pedroni ha detto:

    Carissima Emanuela, scusa se mi prendo tanta confidenza ma oramai ti considero una vecchia amica che mi piace spesso andare a trovare per scoprire che cosa combina.
    Il tuo ragionamento mi ha talmente colpito che me la prendo con gli dei, che non mi hanno concesso di essere più giovane e di poter venire a studiare nella tua scuola. Invece sono più vecchio e lontano e quindi mi dovrò accontentare di raccogliere le perle che distribuisci co generosità in questo blog cosi vivace e profondo.

  8. stefano ha detto:

    Buongiorno, ho letto con estremo interesse. Grazie all’articolo ho anche conosciuto Harald Stoffers (grazie ad una ricerca con google immagini)

  9. Remo Macrì ha detto:

    L’insuccesso ha un peso piuttosto che un altro tenendo presente anche il percorso della classe. Cioè se è un caso isolato oppure no.

  10. M ha detto:

    Mi sono riconosciuta in questo post, perchè uso un metodo di insegnamento simile (definito dai ragazzi “la prof non spiega”), perchè spesso il “magro raccolto” è simile (definito dai ragazzi “ho detto tutto e mi ha messo 6”), perchè la fase “cosa ho sbagliato?” è simile (definita dai ragazzi “non è colpa mia, è la prof che ce l’ha con me”). Sarei curiosa di leggere prossimamente un post su “come è andata a finire”, perchè spero proprio ceh qualcuno ce la faccia! 😉

  11. Cosimo Griffo ha detto:

    Io vado controcorrente affermando che un terzo della classe è davvero fisiologico… con questo non voglio dire che quegli alunni vanno abbandonati a se stessi, ma trasmettere l’interesse (l’amore sarebbe dire troppo) per l’arte è una delle imprese più ardue ( e forse impossibile per destinatari insensibili) che esista. Aggiungi a questo che dovresti farlo in sole due ore settimanali (di cui una da destinare alle attività di disegno) e zigzagando tutte le attività accessorie che la nostra scuola impone per legge (vedi alternanza ecc.). In conclusione dico che avere la Pulvirenti come prof. e rimanere gravemente insufficienti nella valutazione (con tutti gli scrupoli che umanamente ti poni) equivale ad essere una statua di marmo su cui scorre della dissetante acqua … tutto inutile!

  12. Antonietta Soccio ha detto:

    Ciao Emanuela mi complimento con te per il tuo modo semplice, umile ma molto professionale di rapportarti con i tuoi studenti e ti assicuro che non é da molti. Queste circostanze si possono verificare spesso anche perché, diciamo come stanno le cose, il programma é vastissimo e le ore poche, inoltre i nostri ragazzi pensano che basta la lezione per capire e imparare, a casa non studiano e quindi non fissano i concetti e i contenuti appresi durante la lezione. E questo poi emerge durante le prove di verifica o le interrogazioni, quando il tempo ce lo permette. Ti rinnovo i miei complimenti per il lavoro che svolgi e per questo meraviglioso sito ricco di spunti utili e preziosi. Un caro abbraccio. Antonietta Soccio

  13. Cosimo ha detto:

    Meglio non entrare nel merito….neanche chi come me ha 30 anni di insegnamento…forse ci spaventa accettare il risultato dopo tutto l’impegno profuso nelle lezioni…dovremmo cercare risposte semplici….chiarirci quali competenze …quale metodo per insegnare…certo per noi sono scelte di “vita”
    Per molti dei nostri studenti e aspettare il suono della campanella dell’ultima ora….poi una prova andata male ci sta….visto i tanti successi formativi…e l’emergenze disciplinari sono quasi esclusive per Italiano e matematica…per noi docenti di arte è raro affibbiare un debito formativo…meglio un sorriso in più e un opera in meno…

  14. Luca Fortuni ha detto:

    Bella idea quella del setaccio ma ancora più bella è l’idea di vedere la scuola come occasione di crescita e relazione. TUTTO PASSA per questa e niente di meglio dell’ammettere di sbagliare anche di fronte ai studenti. Ma poi, siamo sicure che avevano studiato??? BO?
    Comunque mi incuriosiscono una cifra le scelte che fai nella programmazione. Io in terzo inizio domani il rinascimento. Sarebbe bello vedere i tuoi programmi consuntivi. Ci scommetto che in primo parti subito dalla classicità.

    • Salve Luca. Che abbiano studiato male è fuor di dubbio. Perché solo se si studia male non si è in grado di comprendere le domande.
      Nei miei programmi, comunque, inizio sempre dall’arte preistorica. Non la salterei per nulla al mondo, così come quella mesopotamica, egizia, minoica e micenea. Perché dovrei perdermi la parte più bella, le origini della rappresentazione? 😉

  15. Carme Miquel i Catà ha detto:

    Dalla Catalogna, grazie. Capita a me a volte…. E sempre si impara.

  16. Marino Calesini ha detto:

    assoluta stima !! buon lavoro.

  17. france ha detto:

    La mia stima per te cresce sempre di più….vorrei essere una prof brava altrettanto

  18. sara ha detto:

    adoro la tua competenza ma soprattutto la tua umiltà.
    brava prof.

  19. Marina Passerini ha detto:

    Ragazzi! E’ la famosa didattica dell’errore! So che qualche luminare sembra averla scoperta (addirittura inventata?!?) solo recentemente, ma i bravi insegnanti la usano quotidianamente. E funziona solo se se il primo errore che vado ad indagare è proprio il mio. Credo anch’io che serva di più condividere con i nostri ragazzi l’analisi impietosa di un’esperienza, piuttosto che tante belle parole…. Brava Prof.!

  20. osvaldo ponzetta ha detto:

    Grazie per questa tua riflessione su un insuccesso. Spesso le varie proposte che vengono fatte di cambiare didattica hanno toni trionfalistici, come se bastasse capovolgere tutto per ottenere risultati esaltanti. Non è così, io ogni anno cerco di correggere il tiro e trovare sempre modalità più appropriate, ma ogni volta mi scontro ,tranne rare eccezioni,con una certa passività degli studenti, di cui probabilmente non sono responsabili. In tutti questi anni noi dicenti abbiamo permesso che l’ossessione della misurazione e della valutazione, i crediti e i debiti occupassero sempre più spazio, a scapito del piacere di apprendere, e ne paghiamo le conseguenze. Adesso é c’è questo nuovo mantra delle “competenze”,”anche queste da misurare attentamente ovviamente , ma ho il dubbio che sia una “bufala” anche questa. I tempi di crescita e maturazione sono altri da quelli burocratici. Quello che dovremmo cercare di portare nelle aule é il piacere e forse il resto verrebbe da solo. Gli studenti stanno ancora dietro a dei banchi per cinque ore come cent’anni fa, e questa forse sarebbe la prima cosa da eliminare.

    • Sono assolutamente d’accordo. Sono anche convinta che la separazione tra conoscenze e competenze sia un assurdo concettuale. Non si può richiedere di ottenere delle competenze in astratto, a prescindere dalle nozioni, dalle informazioni. Conoscere dei contenuti ma non saperli usare significa non aver appreso proprio un bel niente. È dallo studio che si deve ripartire, uno studio affrontato con metodo, con curiosità, con coinvolgimento, con modalità (in termini di spazi e di tempi) più efficaci.

  21. Patrizia Di Edoardo ha detto:

    Davvero un bel post, grazie! Forse allora lei ha davvero la competenza di un insegnante, qualcosa che non rimane uguale a se stesso per sempre, ma che si accresce nell’esperienza di esercitarlo, si complica, si stratifica. Il punto è: come possiamo noi insegnare questo a bambini e ragazzi? Non sono forse un po’ troppo alte le richieste degli indicatori ministeriali? Come valutare qualcosa che si costruisce lungo un percorso di anni, fatto di nozioni ed esperienze condotte in modo autonomo, corredato poi da capacità autocritica ed autovalutativa? Lo so, lo so che è questione trita e ritrita, forse pure banale…comunque complimenti, adoro i suoi post, sempre fonte di grandi ispirazioni.

    • Grazie Patrizia! Credo che possiamo insegnare tutto questo ai ragazzi rendendoli fin dall’inizio protagonisti dell’apprendimento, capaci di setacciare, manipolare, costruire il loro apprendimento. Ne ho parlato diffusamente in questo webinar.

  22. Sabrina ha detto:

    Prof. Mi piace!

  23. Salvatore Bonincontro ha detto:

    Anche una verifica andata male è un setaccio, che ci permette di separare quel che è buono e quello che non lo è nel nostro modo di insegnare, che quasi sempre coincide col nostro modo di comunicare. Mi pare questo il succo della tua lezione. Ma allora se è così vuol dire che anche insegnare, come l’imparare, deve essere una fabbrica di setacci, una fabbrica che non chiude mai. Complimenti per averci dimostrato che si può diventare dei buoni insegnanti solo partendo dal sereno e lucido riconoscimento di non esser riusciti ad esserlo. Il segreto di tutte le buone didattiche probabilmente sta lì: industriarsi a superare, una volta riconosciutili, i propri fallimenti. Didatticarte si dimostra anche in questo un vero tesoro di arte didattica! Grazie.