Volere volare… il sogno di Icaro

Ha le ali ma non è un angelo. È un personaggio mitologico, ma non è Cupido. Ma voi avete già letto il titolo… non vale! Quindi sapete già che sto parlando di Icaro, figlio di Dedalo, colui che tentò di volare con ali di cera che si sciolsero al calore del Sole schiantandolo in mare.

Nelle Metamorfosi di Ovidio si narra che Dedalo e Icaro furono imprigionati dal re Minosse per aver aiutato Teseo a fuggire dal labirinto che lo stesso Dedalo aveva ideato. Per fuggire questi costruì per sé e per il figlio delle ali con penne e cera. Ma durante il volo, Icaro, contravvenendo alle raccomandazioni del padre, si avvicinò troppo al sole e le sue ali si squagliarono. Il giovane precipitò in mare e morì annegato. Dedalo, disperato, aspettò a riva il corpo del figlio e lo seppellì.

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Una metafora fortissima e senza tempo, il simbolo di colui che vuole sfidare i limiti della propria natura, ma anche di chi viene punito per la sua tracotanza.

La doppia lettura di questo mito ha portato, così, a raffigurare Icaro in due momenti distinti, prima del volo e durante la caduta, a secondo che se ne volesse far leggere l’eroismo o la superbia.

Le rappresentazioni più antiche, di età classica, mostrano già questa ambivalenza.

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Nel Medioevo, epoca tendenzialmente teocentrica, il mito viene ripreso nel suo aspetto più moralistico. Le rappresentazioni però sono molto rare.

Viene ripreso nel Rinascimento con accezione più positiva e, soprattutto, secondo una composizione elegante ed equilibrata dei vari personaggi come un cameo classico. È il caso del tondo marmoreo di Bertoldo di Giovanni del  1465 nel cortile di Palazzo Medici-Riccardi, a Firenze.

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Icaro è su un piedistallo, come la statua di un dio. Il padre gli monta le ali. Nulla fa presagire la tragedia imminente.

Il momento prima del volo è stato ripreso, ma in modo più concitato, anche nei disegni di Giulio Romano.

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Nel Cinquecento, tuttavia, sono molto frequenti le incisioni con la rappresentazione della caduta.

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L’opera più rappresentativa di questo secolo, però, non è un’incisione ma la splendida tela di Pieter Bruegel il vecchio (autore anche di due celebri versioni della Torre di Babele) del 1558.

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Protagonista non è il giovane Icaro ma un paesaggio spazioso e vivace, ricco di dettagli di ogni genere.

Se non fosse per il titolo sarebbe stato difficile capire che quelle due piccole gambe che si dimenano accanto alla nave sono quelle del personaggio mitologico precipitato in mare. Un particolare quasi secondario…

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In un’altra versione ad incisione Bruegel rende più comprensibile il tema del mito raffigurando Icaro e Dedalo ancora in volo. Al centro, però, campeggia sempre un immenso veliero a tre alberi dalle vele gonfie.

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Di sapore fiammingo è anche il dipinto di Hans Bol (1534-1593). Qui sono presenti due momenti nel mito: i personaggi prima di innalzarsi in volo e poi mentre si librano in cielo osservati con curiosità da un contadino, un pescatore e un pastore (come descritto nel racconto di Ovidio).

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Nel Seicento, anche quando il momento scelto è l’applicazione delle ali sulla schiena del ragazzo, l’atmosfera risulta cupa e drammatica.

Niente paesaggi e niente testimoni. Il fondo scuro (spesso di influenza caravaggesca) isola Dedalo e Icaro evidenziandone il volume dei corpi.

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Nell’opera di Peter Paul Rubens del 1636 (o del suo allievo Jacob Peter Gowy su uno schizzo del maestro), invece, è già accaduto l’irreparabile. Icaro si sta capovolgendo davanti agli occhi impietriti del padre mentre i raggi del Sole bucano la coltre di nubi.

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Il suo conterraneo Artus Quellinus (1609-1668) ha raffigurato l’inizio della caduta con un bassorilievo in marmo. Dedalo, visibile appena, appare distante per via delle dimensioni ridotte e dello stiacciato. Icaro, invece, si protende fuori dalla lastra, come se da questa stesse precipitando.

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È invece una scultura a tutto tondo quella che Antonio Canova realizza oltre un secolo dopo (1777). Qui torna l’immagine dell’anziano padre che lega con forza un’ala al braccio di un giovanissimo ed indolente Icaro.

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Nel Neoclassicismo si evita il momento della caduta, troppo drammatico per una sensibilità artistica votata all’eleganza dei corpi e agli alti ideali.

In alcuni casi il padre sta ammonendo il figlio sui pericoli a cui può andare incontro (avvertimento inutile: Icaro, come ogni figlio che si rispetti, non lo degna neanche di ascolto!).

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Nell’Ottocento c’è una maggiore varietà. Si va dall’ironica immagine di Daumier all’enfatica scena di Leighton, dallo schianto di Rodin, all’equilibrio precario di Blake Richmond, etc. etc.

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Una delle versioni più intense del XIX secolo è quella dell’inglese Herbert James Draper. Il suo Lamento per Icaro (1898) vede il cadavere dello sfortunato ragazzo, con ancora due immense ali attaccate alle braccia, recuperato da bellissime ninfe. È un misto di simbolismo e neoclassicismo molto suggestivo.

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Naturalmente il simbolismo di Draper non ha nulla a che vedere con quello di Odilon Redon (1840-1916), uno dei massimi esponenti di questa corrente. Un pittore francese visionario e surreale che ad Icaro dedicò una tela semplice ma intensa.

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Con il Novecento Icaro, sempre più stilizzato, continua ad essere oggetto di opere di ogni tipo. Pablo Picasso, su richiesta di Serge Lifar, erede dei Balletti Russi, crea le scenografie per l’opera Icaro del 1935.

Circa vent’anni dopo riprenderà il tema per un pannello murale presso la sede parigina dell’UNESCO.

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Nel 1946 Henri Matisse si occupò di Icaro con alcuni cutout (i suoi ritagli di carta colorata) per la pubblicazione del libro Jazz.

Stavolta il giovane eroe non è in caduta ma si libra verso l’alto in forma di sagoma nera su un cielo blu. Le stelle gialle e un punto rosso al posto del cuore rendono viva e pulsante quest’immagine così astratta.

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È quasi un’illustrazione da fiaba, invece, quella di Marc Chagall del 1975 dove Icaro cade verso due ali di folla colorata attraversando un cielo irreale e denso.

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Un versione ancora più attuale è quella proposta dal Cirque du Soleil con lo spettacolo Varekai. Qui un Icaro alato scende lentamente al suolo con grandi ali leggere e coreografiche.

icaro-varekai

Ecco un breve estratto…

http://www.youtube.com/watch?v=8SJm3FekeZM

Un eroe positivo e negativo, in base a come vogliamo vederlo, rivisitato in ogni modo. Un essere fragile e forte allo stesso tempo. Questo è Icaro.

È precipitato e ha perso la vita ma, anche per poco, ha volato! Questo è il senso del mito che mi piace di più. Quello che Oscar Wilde ha trasformato in poesia con i celebri versi:

Never regret thy fall,
O Icarus of the fearless flight
For the greatest tragedy of them all
Is never to feel the burning light.

(Non rammaricarti mai/Per la tua caduta,/O Icaro del volo senza paura./Perché la più grande tragedia di tutti,/È non provare mai la luce che brucia)

 

Emanuela Pulvirenti

https://www.didatticarte.it/Blog/?page_id=65

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19 risposte

  1. Fiore ha detto:

    ❤️

  2. Luisa ha detto:

    Non avevo mai apprezzato molto il simbolismo… il tuo excursus storico mi ha fatto scoprire aspetti sui quali non avero riflettuto. Grazie per la rua capacita’ di condividere e moltiplicare le conoscenze.

  3. Emanuela ha detto:

    Grazie, ancora una volta grazie!

  4. Pietro ha detto:

    Grazie !
    Le sue scelte e presentazioni mi hanno arrecato immensa gioia…

  5. Letizia ha detto:

    veramente, veramente un bell’articolo. Complimenti. Ne farò ampio uso la prossima volta che illustro l’episodio di Icaro leggendo le Metamorfosi ai miei studenti 🙂

  6. Gabriella Speranza ha detto:

    bellissimo articolo,grazie!

  7. Salvatore Bonincontro ha detto:

    Hey collega ma quando la smetterai di divertirti (di noi)?
    Ecco quello che combini.
    Stamattina leggo “la Stampa” online e m’imbatto in un articolo che parla dell’ultimo lavoro di Jovanotti (http://www.lastampa.it/2015/04/12/spettacoli/musica/jovanotti-il-mio-concerto-contro-litalia-del-sorrisino-SykJSMlmJgKIwmzAHhktcO/pagina.html) lo apro e leggo. Ad un certo punto trovo citate le Demoiselles d’Avignon… Un click, non sul tablet, ma nella mia testa: didatticarte! Si, l’ho visto ed evitato tante volte lì. Inevitabile, ormai, andare a leggere quel che avevi scritto. E dopo averti letta, inevitabile pure lasciarti un ringraziamento.
    Torno all’articolo e neanche un rigo sotto leggo: “della serie disegnata Adventure Time”, mmh l’avventura del tempo, ma ne parlavi nel post! Einstein, la relatività e un link, che a questo punto, tornato su didatticarte, apro. Si c’è l’avventura entusiasmante e sconvolgente del tempo agli inizi del ‘900. Bello, in quel l’articolo avevo trovato un Jovanotti che vive nella stessa atmosfera di idee di didatticarte.
    Ma non finisce qui. Ritorno a Jova e riprendo “Sui muri, una riproduzione della Demoiselles d’Avignon di Picasso e un poster delle medesime dimensioni con i personaggi della serie disegnata Adventure Time. Sul lato opposto, un manifesto del film Birdman, l’ispirazione segreta dei suoi prossimi concerti estivi.”
    Nooo, Birdman no! Prima di arrivare alle Demoiselles avevo scorto questo post ed è per questo che la mia testa ha fatto di nuovo click! Di nuovo rimandato qui, di nuovo a leggerti.
    Ora due coincidenze sono quello che sono, coincidenze. Tre non lo sono più.
    O tu lavori con e per Jovanotti oppure Jovanotti si diverte pure lui a leggerti. Anche perché poco sopra in quel l’articolo ci sta scritto “E tutto questo perché? «Per la meraviglia, lo stupore, la sorpresa»” e dimmi tu se non sono le cose che fai e dici nel tuo blog e nelle tue classi?
    A questo punto esigiamo, noi tutti lettori appassionati di didatticarte, una spiegazione. O forse è meglio continuare a godere la meraviglia, lo stupore e la sorpresa che ci regalano i tuoi post come il personale dono che ci viene dall’ “imprevedibile virtù dell’ignoranza” (ma che coincidenza, il sottotitolo di Birdman!)?
    P.S. Vista l’intesa con Jovanotti, a quando un post sul “sorriso” nell’arte?

    • didatticarte ha detto:

      No, niente spiegazioni, il mago non svela i suoi trucchi!
      Però Jovanotti lo ascolto dai tempi lontanissimi di Gimme five… dunque una connessione ci dev’essere: forse facciamo parte della stessa orda di barbari che spaventa Pennac? Domani ne parliamo nella mia apposita ora buca.

      P.S. 1 Non solo del sorriso ma di tutte le espressioni del volto ho parlato in questo articolo.

      P.S. 2 Ma quando te lo fai un Didatticosofia? Ho bisogno di qualcuno che me la sappia raccontare!

  8. paola ha detto:

    Meravigliosa scorribanda tra suggestioni di ogni origine, come sempre. Dalla lettura dei tuoi post si esce sempre arricchiti. Stavolta addirittura il Cirque du Soleil! Le sorprese che riservi ai tuoi lettori non finiscono mai.

  9. Silvia ha detto:

    Vinco le mie resistenze e i miei inutili imbarazzi per scriverti e ringraziarti per i tuoi post, sempre così densi eppur leggeri.
    Tempo fa Loredana Lipperini, persona dalle mente affascinante e dalla scrittura coinvolgente, ha parlato di te su La Repubblica; mentre leggevo il suo contributo mi gongolavo al pensiero di seguire il blog che ha avuto il merito e il pregio di essere menzionato da una delle mie giornaliste preferite.
    In bocca al lupo per tutto.

    Sil

  10. silvia ha detto:

    grazie per le tue ricerche e per il modo semplice e chiaro con cui raccogli materiale e organizzi il discorso. non ti leggo da molto, ma da quando ho scoperto il tuo blog mi apri sempre nuove finestre di riflessione e sei da stimolo per nuove idee!

  11. Marco Stizioli ha detto:

    Ma i dipinti neoclassici su Icaro non sono decisamente omoerotici?
    O è il mio occhio a vederli così?

    Comunque sia, è sempre bello leggerti 🙂

    • didatticarte ha detto:

      Può darsi, i pittori neoclassicisti dipingevano i nudi maschili con un certo compiacimento estetico e un’eleganza delle pose quasi femminea.
      Grazie per l’apprezzamento! 😀