In centro Sicilia, sulle tracce di Proserpina

Tanto tempo fa, ma proprio tanto, la Sicilia era abitata dagli dei. Qui trovarono una seconda casa, lontana dall’Olimpo, ma altrettanto incantata. Qui Polifemo si scontrò con Ulisse.

Qui la ninfa Aretusa divenne fonte per sfuggire ad Alfeo.

E sempre qui Galatea, un’altra ninfa, si innamorò del pastore Aci.

Secondo una versione del mito anche il ratto di Proserpina da parte di Plutone avvenne in Sicilia, in una località poco lontano da Enna. L’episodio è quello che Gian Lorenzo Bernini ha immortalato nel marmo, nella prima metà del Seicento, con una maestria che ancora oggi stupisce.

E visto che abito proprio da quelle parti, poco tempo fa sono andata in cerca dei luoghi di Plutone, di Cerere e di sua figlia Proserpina. Da ora in poi, però, chiamerò i nostri dei con i nomi greci originali: Ade, Demetra e Persefone (o Kore).
Ecco le due dee esposte al Museo archeologico di Aidone. Si tratta di acroliti, cioè statue di cui venivano realizzati in marmo solo piedi, mani e testa mentre il corpo era di legno ricoperto con abiti di stoffa. Risalgono al 530 a.C. e, non a caso, il loro volto possiede il tipico “sorriso arcaico“.

Nello stessa sala si conserva anche una testa fittile del IV secolo a.C. chiamata Barbablù per via della colorazione ancora presente sui riccioli della barba. Proprio questa tinta, associata in antico all’aldilà , fa supporre che si tratti di Ade.

Probabilmente è Demetra anche la grande statua del V secolo A.C., nota come Dea di Morgantina e conservata nello stesso museo. In questo caso si tratta di uno pseudo-acrolito: braccia, piedi e testa sono in pregiato marmo pario mentre il corpo, coperto da una raffinatissimo panneggio, è in calcare.

Dunque i nostri personaggi ci sono tutti. Possiamo iniziare la storia.
Un giorno Persefone stava passeggiando lungo i bordi del lago di Pergusa, uno specchio d’acqua silenzioso e suggestivo.

Secondo la leggenda raccoglieva fiori di asfodelo, pianta spontanea che qui fiorisce in pieno inverno.

I suoi fiori, delicati e pallidi, erano associati dai Greci al regno dei morti.

Possiamo quasi vederla mentre passeggia serena con alcune ninfe e con le dee Atena, Artemide e Afrodite. John William Waterhouse, nel 1909, se l’è immaginata così.

Ha intitolato il quadro con il primo verso di una poesia di Robert Herrick (1591-1674): Gather Ye Rosebuds While Ye May, cioè “cogliete le rose finché potete”. Una sorta di carpe diem

Ma ecco che, tra i tanti fiori, appare un bellissimo narciso.

Persefone si china subito a coglierlo ma improvvisamente, ai suoi piedi, si apre una voragine e appare Ade, il dio degli Inferi, sul suo cocchio trainato da cavalli neri. Vuole portare con sé la fanciulla per farne la sua sposa ma, non essendo esattamente un gentiluomo (o un gentil-dio), invece di chiederglielo pensa bene di rapirla caricandola di forza sul carro.
Peter Paul Rubens, nel 1638, ha immaginato una scena convulsa e carnale, con  le tre dee che cercano di bloccare Ade creando un forte dinamismo verso destra.

Dello stesso periodo è la versione di Rembrandt. Il cocchio corre verso l’abisso mentre Persefone, abbigliata come una regina, si divincola e le altre dee la trattengono per la veste.

Alla notizia del rapimento, la madre Demetra si dispera. Il poeta romano Claudiano narra che “Dopo nove giorni e nove notti insonni di dolore, decise di rivolgersi a Giove per implorarlo di farle riavere la figlia; ma Giove nicchiava (come poteva tradire suo fratello Plutone?). Allora Cerere, folle di dolore, decise di provocare una grande siccità in tutta la terra. E dopo la siccità venne la carestia e gli uomini e le bestie morivano in grande quantità. Non valevano invocazioni e scongiuri alla dea, che era irremovibile.
Giove inviò Mercurio da Plutone per imporgli di restituire Proserpina alla madre. A Plutone non restò che obbedire. Però, prima di farla partire, fece mangiare alla sua amata dei chicchi di melograno».
Questo frutto avrebbe legato per sempre la giovane dea al mondo dell’aldilà.

Ecco la giovane Persefone, con una melagrana in mano, nel dipinto del preraffaellita Dante Gabriele Rossetti del 1882.

A quel punto era necessario giungere ad un accordo: Persefone avrebbe trascorso sei mesi con la madre, sulla terra (periodo corrispondente alla primavera e all’estate) e sei mesi con lo sposo, negli inferi (durante l’autunno e l’inverno). L’avvicendamento delle stagioni sarebbe nato, secondo il mito, proprio in relazione agli spostamenti di Persefone.

In questo splendido cratere del 350 a.C. proveniente da Altamura, Persefone e Ade banchettano nel loro regno, circondati da altri personaggi passati per gli Inferi. Tra questi Orfeo, a sinistra del tempietto, mentre suona la sua lira.

Per celebrare Demetra e Kore, si svilupparono in Sicilia molti santuari dedicati alle divinità ctonie, cioè legate alla vita terrestre o sotterranea. Uno dei più importanti sorgeva proprio ad Enna, su uno sperone roccioso a poca distanza dal lago di Pergusa, noto ancora oggi come Rocca di Cerere.

La dea, secondo la tradizione, abitava proprio nelle pendici sotto la rocca.

È un luogo estremamente suggestivo, da cui si gode uno sterminato panorama. Nelle belle giornate si vede anche l’Etna…

Voltandosi indietro si può ammirare la città di Enna, splendidamente arroccata a quasi 1000 metri di quota.

Nel frattempo sul lago di Pergusa volge il tramonto. La stagione è ancora bella: Persefone sta andando a dormire, a casa della madre.

Tra due mesi arriverà l’autunno e Demetra spargerà pioggia e freddo sulle campagne.

Ma sarà solo la preparazione a un’altra primavera e ad infinite ancora. Quando la dea delle tenebre (per Dante “la regina de l’etterno pianto”) risalirà dalle profondità della terra e porterà luce e vita.

 

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8 risposte

  1. Cristiano ha detto:

    Un articolo magico. Un excursus davvero degno di essere letto. E non faccio cerimonie. Sono stato anni fa in Sicilia, e leggere questo articolo mi ha proprio fatto venire voglia di tornarci. Complimenti davvero! Alla prossima!

  2. Antonietta ha detto:

    Grazie mille, come sempre.

  3. Luisa ha detto:

    Ciao Emanuela. Bella la ricostruzione del mito. Lo farò leggere ai miei alunni quando studieremo Bernini. Come sempre un preziosissimo contributo.
    Buona estate e buone vacanze.

  4. Ugo Adamo ha detto:

    Sul versante nord orientale del lago, a Cozzo Matrice, in un costone roccioso sorgono due grotte. Il mito racconta che fu da una di queste grotte, quella rivolta a settentrione, che Ade sul cocchio trascinato da cavalli neri irruppe sulla pianura sottostante e rapì la giovane Kore. Quanto alla disperata ricerca di Demetra, vi è un’espressione arcaica in lingua siciliana che da sempre (mi riferisco alla mia esperienza diretta) le madri gridano in caso di perdita di un figlio “Kor, Kor miu”. E’ possibile che sia derivata proprio dal mito. Sulla pianura di Cozzo Matrice sono stati trovati resti di probabili capanne dell’età del rame (in Sicilia 3.300 – 2300 a.C.) con frammenti di ceramica di Malpasso (II fase del calcolitico), necropoli di periodo indigeno (siculi), greco, e resti di abitazioni greche. Nelle pendici di due costoni circostanti sono stati rinvenuti degli ambienti ipogeici, di cui uno molto grande era una probabile stalla, ed un altro più piccolo con i resti di un palmento. In questi casi si parla di periodo alto-medievale, probabilmente bizantino. Disponibile a farteli visitare quando verrai da queste parti.