I lampioni nelle notti dipinte

Questa storia non inizia da molto lontano. I lampioni per l’illuminazione urbana cominciano, infatti, ad apparire solo nei primi anni dell’Ottocento a Londra e Parigi.

Erano alimentati a gas e la loro tipologia, ben presto connotata dalla forma a “lanterna” idealizzata dalla pittura e consolidata nell’immaginario collettivo, nasceva, in realtà, da precise necessità tecniche: i quattro vetri dovevano proteggere la fiamma da un eventuale spegnimento dovuto al vento permettendone comunque l’emissione luminosa, il cappello superiore piramidale consentiva lo sfiato dei fumi grazie all’effetto-camino.

Due asticelle orizzontali alla base della lanterna permettevano al “lampionaro” di appoggiare la scala a pioli per l’accensione manuale di ogni apparecchio.

Ciò non significa che non ci sia stato alcun sistema di illuminazione nei secoli precedenti, tuttavia si trattava di semplici torce o lanterne ad olio collocate sporadicamente negli angoli delle strade o portate a mano da chi percorreva la città nottetempo.

A Londra era diffusa la figura del link-boy, un ragazzino che precedeva le persone che avevano necessità di uscire reggendo una fiaccola per illuminare la via. Questa veniva poi spenta in appositi coni metallici di cui restano ancora alcuni esemplari.

In realtà, di uscire di notte, non se ne sentiva una gran necessità non essendo ancora stato inventato il concetto di movida

Generalmente chi si aggirava tra le tenebre o era un ladro o era un assassino. In Francia, le persone “perbene” che avessero avuto necessità di spostarsi nelle ore di buio, come i medici, dovevano avere un permesso speciale altrimenti rischiavano di violare i divieti imposti dalla legge.

Tutto cambia con la sequenza di innovazioni tecnologiche che cadenzò il XIX secolo. Nella seconda metà dell’Ottocento fa la sua comparsa la luce elettrica: piazze, teatri e viali risplendono dei bagliori sfavillanti delle lampadine sebbene le lampade a gas verranno definitivamente soppiantate solo all’inizio del XX secolo.

Gli abitanti delle città possono, così, appropriarsi delle notti urbane e cominciare a viverle intensamente (eccola, la movida!). E i pittori, naturalmente, non si lasciano scappare il fascino di questi nuovi paesaggi artificiali costellati da romantici lampioni…

Neanche Vincent Van Gogh restò immune alla magia di un notturno con lanterne.

Alcuni autori meno noti come il polacco Aleksander Gierymski (1850 – 1901) sono riusciti a rendere appieno quella particolare e suggestiva diffusione della luce dei lampioni che rende tanto poetico il paesaggio urbano notturno.

Il ceco Jakub Schikaneder (1855-1924), quasi ossessionato dall’immagine di un singolo lampione, ha cercato di rendere la malinconica dolcezza dell’atmosfera notturna dandone più un’impressione che una fotografia.

Poi è arrivato il Futurismo.

Ed anche il lampione, da quel momento, non fu più lo stesso. Niente scene romantiche, niente notturni poetici. Al grido di battaglia “Uccidiamo il chiaro di Luna” ogni tradizione passatista fu abbandonata e per Giacomo Balla il lampione diventa una splendente macchina che sprizza fotoni in ogni direzione.

La sua celebre “Lampada ad arco” (1909) è un inno alla modernità, al progresso, al “vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche”, per dirla alla Marinetti.

La Luna è relegata in un angolino, sopraffatta dal fascio di luce del lampione frammentato nei colori del suo spettro.

Balla non abbandonerà mai il tema della luce (e Luce chiamerà una delle figlie mentre l’altra avrà per nome, addirittura, Elica!).

Dopo lunghi esperimenti pittorici sull’iridescenza, venti anni dopo tornerà all’immagine della notte rischiarata dal lampione con un approccio molto diverso.

È la volta di “Seraluci”, un dipinto che, con un linguaggio quasi astratto, rappresenta la sintesi del rapporto tra lampione e città. E del lampione non resta che il fascio luminoso, netto come una faro nella notte buia.

Nel frattempo la città si è arricchita di tante altre luci: i fari delle automobili, gli spot nelle vetrine, i semafori, i display, le finestre dei palazzi. Ed è così che si presentano i notturni contemporanei come quelli di Jeremy Mann.

Le città di Alexandra Pacula sono ancora più esplosive. Il vecchio lampione, se c’è, si è disperso nella giostra cromatica dei nuovi paesaggi notturni.

È vero, ci sono ancora pittori, come Yuriy Shevchuk, che cercano lo scorcio pittoresco e nostalgico rigorosamente dotato di lampioni ottocenteschi, e città come Parigi o Praga ne offrono a bizzeffe.

È difficile, ancora oggi, immaginare una “città d’arte” senza il suo bravo corredo di lampioni… Eppure sono tecnologicamente e stilisticamente superati. Installare una nuova illuminazione con lampioni e lanterne, magari dotati di efficientissime sorgenti LED significa proporre un falso storico oltre che realizzare un’evidente forzatura tecnica.

Il lampione aveva una forma ed una struttura necessarie alla tecnologia a gas. Nel momento in cui arrivarono le prime lampadine elettriche era già “superato” ma era ancora troppo giovane per apparire inadeguato e continuò a tenere la scena.

Continuare ad installarli oggi, però, significa snaturare le attuali tecnologie dell’illuminazione rivestendole con un abitino vintage. È un po’ come montare un iPhone nella struttura di un telefono degli anni Trenta!

Certo, in pittura ognuno è libero di rappresentare quel che gli pare (e se volete scorrere una bella carrellata di tutti i generi di notti luminose, date un’occhiata alla mia raccolta su Pinterest), ma chi si occupa della “manutenzione” delle città storiche dovrebbe cercare di non ingessarle all’interno di immagini fuori dal tempo.

Si dovrebbe cercare di miniaturizzare i corpi illuminanti e di nasconderli, di ripulire la scena urbana, carica di troppi elementi visivi, e rimettere al centro l’architettura e le persone.

Allora forse potremo anche pensare di resuscitare il chiaro di Luna, rinnovando quel dialogo con i nostri cieli notturni che abbiamo perso da un pezzo… ma questa è un’altra storia!

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26 risposte

  1. Alessandro Grassia ha detto:

    Sono anni che dico queste stesse cose nei vari convegni sull’illuminazione urbana per cui sono pienamente d’accordo con te Emanuela.
    Il fatto è che non ci si vuole scrollare di dosso la forma della lanterna che, come giustamente dici, nasce da un’esigenza funzionale che non ha più senso già da tempo ed ancor di più oggi con le sorgenti led che hanno una geometria a due dimensioni.
    Si dovrebbe vincere la paura di cambiare ed avere il coraggio di ideare forme nuove che si possano confrontare coi centri storici partendo dalla funzione anziché dalla forma.
    Questo lo dicevano anche i fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni i quali sostenevano che “l’invenzione non è nella carrozzeria dell’apparecchio ma nella possibilità di consumo dell’apparecchio”. Se poi viene fuori anche una cosa curiosa, piacevole, meglio. Del resto ci sono artigiani che non sanno neanche cos’è il design, che creano cose perfettamente utili e belle.

    • Carissimo, grazie di questa riflessione.
      Purtroppo in Italia abbiamo un’idea romantica e cristallizzata delle città storiche, cosa che impedisce ogni altro intervento contemporaneo anche di tipo architettonico.

  2. Peggion Andrea ha detto:

    Sul commento finale sono generalmente d’accordo ma, ogni azione ogni nel nostro spazio, va vista come cosa a se: non si deve mai generalizzare. Il telefono con la cornetta+Iphone permette di avere meno riscaldamento sull’orecchio… ma, soprattutto, i lampioni nei lungarni fiorentini mi sembra ci stiano proprio bene

    • Non ho nulla contro i lampioni, se sono autentici.
      Per fortuna il resto del centro storico di Firenze è illuminato con proiettori sottogronda della RuudLighting dal design moderno e minimale 😉

  3. Mariagrazia Dinardo ha detto:

    Salve Emanuela, mi potrebbe dire l’autore e il titolo della prima opera in alto in questa pagina, lì dov’è il lampionaio che accende la luce? Grazie!

  4. Concetta Gullo ha detto:

    Certamente piu’ romantica, piu’ attraente l’atmosfera della citta’ ottocentesca, più a misura uomo. Io la trovo più accogliente…Più fredda quella odierna… Com’è anche l’uomo di oggi! D’altra parte il contesto siamo noi!

  5. Roberto ha detto:

    Bellissimo articolo! Mi dispiace leggere “Il problema è che in Italia c’è una scarsissima cultura della luce e i nostri centri storici non vengono per niente valorizzati dalle scelte illuminotecniche usuali”, ma è vero, Come Lighting Designer italiani, il primo obiettivo delle nostre scelte progettuali è pensare all’illuminazione adatta alle persone che vivono nella città. Perchè non rimaniamo in contatto? C’è molto da fare e potremmo organizzare diverse cose assieme. Per le prime info, ci può trovare su http://www.apilblog.it e sul gruppo Facebook “Italian Lighting Designers Promotion Group”

    • didatticarte ha detto:

      Il problema della corretta illuminazione dei centri urbani è complesso e, secondo me, irrisolvibile. Troppe figure non competenti hanno voce in capitolo e potere di mettere mano agli interventi: dai tecnici comunali agli astrofili, dai dipendenti delle soprintendenze ai rappresentanti delle aziende.
      Conosco bene l’APIL per averne fatto parte circa quindici anni fa 🙂
      A presto!

  6. carlo ha detto:

    bella carrellata, ricca come sempre di notizie e immagini preziose. Anche le conclusioni sono interessanti, ma non riesco ad immaginare un’alternativa ai lampioni. Qui ad Arezzo hanno istallato in alcuni punti delle luci a led per terra, ma sono francamente orribili (effetto aeroporto) e fastidiose per gli occhi quando ci passi vicino. Ci sono altre possibilità?

    • didatticarte ha detto:

      Grazie per l’apprezzamento Carlo. Le alternative ci sono ma non gli incassi da terreno (quelli illuminano verso l’alto, servono a poco…).
      Nei miei progetti di illuminazione nei centri storici cerco sempre prodotti miniaturizzati che rendano protagonista l’architettura. Questo è un esempio realizzato un po’ di anni fa 😉

      • carlo ha detto:

        molto bella la scalinata, complimenti! E’ un tipo di illuminazione standardizzabile oppure richiede particolari gusto e competenza? In genere sono merci rare fra i tecnici degli enti locali…

      • didatticarte ha detto:

        Ti ringrazio 🙂
        Il criterio in sè é standardizzabile (illuminare nascondendo i punti luce) ma essendo ogni luogo diverso da un altro si tratta di interventi che vanno affidati a professionisti. Gli addetti degli uffici tecnici non hanno quasi mai la preparazione necessaria. Il problema è che in Italia c’è una scarsissima cultura della luce e i nostri centri storici non vengono per niente valorizzati dalle scelte illuminotecniche usuali. Peccato…

  7. Adoro i dipinti di Jeremy Mann, anche se sembra essersi specializzato di più nei ritratti femminili. Complimenti per il bell’articolo!

  8. Donata ha detto:

    Seguo da poco le sue “lezioni” e ne sono affascinata…..
    Grazie

  9. Lorenz ha detto:

    Che bell’articolo!
    E concordo in pieno con le conclusioni.

  10. Roberta ha detto:

    Brava come sempre.

  11. Piazza Costantino ha detto:

    bellissimo articolo, grazie 🙂