Il mondo dei coniugi Arnolfini

Osservando in classe il celebre dipinto del fiammingo Jan Van Eyck “I coniugi Arnolfini”, una studentessa mi ha fatto una domanda molto spontanea: “Prof. ma la donna è incinta?”.

No, non lo è: è il tipo di vestito che la fa apparire con la pancia gonfia, anche perché lo ripiega sul ventre.

Eppure da questa domanda istintiva sono scaturite una serie di altre osservazioni più “tecniche” sul matrimonio, sull’abbigliamento, sulla moda e sull’arredo dell’epoca. Insomma, ci siamo resi conto che da un quadro si poteva scoprire un mondo

Quell’opera ci ha introdotti in questioni multidisciplinari che andavano dalla storia al diritto, dall’ottica alla lettura dei simboli, dall’arredamento alla moda… Dunque non una tipica lettura del dipinto ma uno sguardo verso tutti gli orizzonti culturali nascosti al suo interno.

La prima cosa che scopriamo è che nella prima metà del XV secolo molti mercanti e banchieri toscani risiedevano abitualmente nelle Fiandre, la regione più settentrionale dell’attuale Belgio.

Questo avvenne con la conquista di Pisa nel 1406 da parte di Firenze, che poté così garantirsi uno sbocco commerciale marittimo ed entrò presto in contatto con il Ducato di Borgogna.

Il ricco mercante di stoffe e cavaliere di Filippo il Buono Giovanni di Arrigo Arnolfini, difatti, era originario di Lucca e risiedeva a Bruges dal 1420. Questa città era, all’epoca, uno dei centri commerciali più importanti d’Europa e le Fiandre, come la Firenze medicea, vivevano una stagione di grande vitalità artistica ed economica.

Altri Fiorentini e Lucchesi (come i Tani, i Portinari, i Canigiani, i Cavalcanti, i Tornabuoni e i Baroncelli) vivevano anche a Gand, Bruxelles e Anversa per gestire i loro commerci e le filiali estere delle banche toscane.

Non è un caso che la Borsa nacque proprio in Belgio nel secolo seguente (esattamente nel 1531). I commercianti-banchieri fiamminghi si riunivano periodicamente nel palazzo delle famiglia di banchieri Van der Bourse per scambiarsi titoli di credito e stipulare compravendite. Da questa prassi nacque il concetto stesso di borsa che prende il nome dalla famiglia fiamminga.

E non è neanche un caso che nella pittura fiamminga si ritrovino così tanti dipinti che rappresentano banchieri, cambiavalute, orafi e usurai al lavoro. Dunque denaro e bellezza si danno la mano… anzi è proprio il denaro che permise la nascita del Rinascimento, a Firenze come a Bruges!

Ma vediamo cos’altro possiamo scoprire dal dipinto. Realizzato nel 1434, mostra il mercante con la lucchese Giovanna Cenami in una stanza da letto. I due, secondo l’interpretazione più comune, si stanno scambiando una promessa di matrimonio davanti a due testimoni.

Ma come facciamo a dire che ci siano due testimoni? Solo perché in quel periodo si faceva così?

Ecco che qui entra in scena il virtuosismo e la genialità di Van Eyck: lo specchio convesso sulla parete di fondo (oggetto di cui ho ampiamente parlato in questo post) ci restituisce l’altra metà della stanza facendoci vedere gli sposi di spalle e due persone al di qua della tela (dunque i testimoni), di cui uno è il pittore stesso. Un livello di dettaglio la cui brillantezza e precisione è frutto della pittura a olio, di cui van Eyck è stato un iniziatore.

Come ulteriore conferma Van Eyck scrive sul muro, sopra lo specchio, “Johannes de Eyck fuit hic 1434” (Johannes Van Eyck fu qui), quasi a suggellare la legittimità del matrimonio.  

Lo specchio degli Arnolfini ci permette, inoltre, di fare una piccola digressione di carattere tecnologico. Si tratta di un oggetto non inconsueto per l’epoca.

Gli specchi convessi in vetro erano già in uso presso i Romani (accanto a quelli in metallo lucidato) ed erano più diffusi degli specchi piani in quanto si utilizzava il vetro soffiato (dunque una superficie sferica) spalmato sul retro con una lega di piombo, antimonio e stagno. Solo nel XIX secolo si passerà ad una più duratura ed efficace amalgama in argento.

Tipico di quest’epoca è invece l’uso di appendere lo specchio al muro invece che usarlo con manico o con sostegni da tavolo.

Restando sul tema dell’arte del vetro non possiamo non notare la finestra sul lato sinistro (in realtà nella stanza ce ne sono due come rivela lo specchio in fondo e la luce sul pavimento in primo piano).

La parte superiore è chiusa da una “vetrata a rulli” cioè composta dai cosiddetti “occhi di bue”,  la spessa parte centrale di un disco di vetro ottenuto spianando una bolla di vetro soffiato.

A quel tempo, d’altra parte, c’era una grande fioritura della vetreria fiamminga e le famiglie benestanti utilizzavano questo tipo di vetrate nelle parti alte delle finestre (lasciando la parte inferiore senza vetro).

Continuiamo ad osservare la stanza. Sul lato opposto alla finestra è un letto matrimoniale a baldacchino di un bel colore rosso. Il suo valore simbolico è piuttosto evidente all’interno di una scena di matrimonio… Soffermiamoci invece sulla sua foggia e cerchiamo di scoprire qualcosa in più sugli arredi dell’epoca.

Il baldacchino aveva origini antiche: l’etimologia del termine deriva, infatti, da “baldekinus” e fa riferimento alla parola “Baldacco“, nome tedesco della città di Baghdad da cui nell’XI secolo venivano importati tessuti pregiati. In Occidente tali stoffe furono introdotte nelle repubbliche marinare, dove andarono ad arricchire i tesori delle cattedrali con i nomi di “Baldekino” o di “Baudaquen“. Il baldacchino, infatti, era inizialmente una struttura di coronamento per altari (in questo caso era chiamato ciborio) o statue.

Successivamente divenne una protezione per il letto di vescovi e cardinali e poi cominciò ad essere usata anche dai nobili.

Le funzioni erano molteplici: proteggere la privacy (la servitù entrava liberamente nelle stanze in qualsiasi momento), riparare dagli insetti (l’igiene domestica è un’invenzione piuttosto recente…) e, soprattutto, trattenere il calore dei corpi per non farlo disperdere nelle grandi e fredde stanze delle abitazioni più lussuose.

Nei dipinti di interni del Medioevo e del Rinascimento si possono osservare baldacchini piuttosto simili e abbastanza semplici. Sospesi al tetto da sottili cordoncini, sono frequenti nelle Annunciazioni fiamminghe e spesso mostrano uno dei drappi angolari raccolto a sacco, ad alludere ad un ventre gravido (come nella camera degli Arnolfini).

È solo in epoca barocca che il baldacchino diverrà una trionfale struttura decorata come quelli della reggia di Versailles.

Passiamo ad analizzare il lampadario a sei bracci: presenta una sola candela accesa come simbolo matrimoniale, elemento iconografico che deriva dalla candela nuziale che a volte compare nell’annunciazione.

L’illuminazione domestica nel Medioevo e nel Rinascimento si realizzava appunto con strutture sospese dotate di uno o più ordini di candele. Tali strutture erano radiali e venivano forgiate in ferro. Le candele verranno soppiantate dal lume ad olio solo nella seconda metà del XVIII secolo.

Possiamo immaginare che gli interni fossero piuttosto bui e, soprattutto, che gli incendi fossero all’ordine del giorno…

Ma il mondo degli Arnolfini è ancora ricco di interessanti informazioni sulla società dell’epoca. Il ricercato e prezioso abbigliamento della coppia, ad esempio, ne testimoniava l’alto rango.

Il mantello di lui è foderato interamente di pelliccia mentre lei indossa un abito molto in voga, stretto sotto il seno, guarnito di pelliccia e arricciature. La moda di usare abiti molto abbondanti sul ventre veniva forse dalla Francia dove le cortigiane l’avrebbero indossato per far passare inosservate eventuali gravidanze indesiderate della regina…

Il colore del vestito, simile ad un verde cinabro, risalta ancora di più circondato com’è dal suo complementare, il rosso, presente nel letto e nello scranno sotto lo specchio.

Nei dettagli dell’abbigliamento dei coniugi si può ammirare la grande maestria e l’amore per il dettaglio tipici dei fiamminghi.

Anche se non si nota molto, i due coniugi sono scalzi. Secondo la critica questo è da collegarsi al fatto che il suolo del luogo del matrimonio è sacro come era sacro quello su cui si trovò Mosè quando Dio gli comandò: “Togliti i sandali dai piedi, poiché il luogo sul quale tu stai è una terra santa”.

E in effetti gli zoccoli dell’uomo sono in primo piano, a sinistra, mentre quelli della donna sono sotto lo scranno ai piedi dello specchio. In ogni caso è molto probabile che le scarpe in casa non si portassero comunque (anche per non spargere lo sporco e il fango delle strade).

L’uomo indossa per l’occasione un ampio cappello di spesso feltro nero. Generalmente, però, utilizzava un copricapo più semplice in tessuto, una specie di turbante molto diffuso all’epoca, come testimoniano altri ritratti fiamminghi.

Anche la donna ha un’acconciatura tipica. Portava due cornetti di seta per trattenere i capelli sui quali è poggiato morbidamente un velo guarnito di più strati di volant. La stessa acconciatura è portata dalla moglie di Van Eyck rappresentata in un ritratto.

Altri elementi sono presenti come simboli legati al matrimonio: il cagnolino che, ovviamente, rappresenta la fedeltà; gli alberi di arancio che si intravedono fuori dalla finestra (e i frutti sulla cassapanca) che richiamano l’Hortus conclusus, giardino sacro alla Madonna. Tutti gli altri simboli ed interpretazioni possono essere trovati sull’abbondante letteratura presente in rete.

Vorrei soffermarmi invece, su una questione più prettamente artistica e cioè sulla costruzione dello spazio. Qui la prospettiva lineare è già presente sebbene Alberti pubblicherà il suo celebre trattato su questa tecnica di rappresentazione l’anno successivo alla realizzazione del dipinto.

Tuttavia è una prospettiva con più punti di fuga, non è matematica come quella fiorentina. Non si tratta di un errore ma di una voluta deformazione della scatola spaziale (che applicherà in altre opere come il trittico di Dresda) tale da enfatizzare alcuni elementi della scena piuttosto che il suo contenitore, cioè la scatola prospettica.

Ma adesso, per chiudere, concediamoci un po’ di ironia con qualche simpatica parodia da Botero ai Muppets…

… e con un video nel quale Giovanni Arnolfini non fa esattamente una bella figura! 😉

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30 risposte

  1. Giovanni Biondi ha detto:

    grazie e complimenti per la bellissima esposizione. Per quel che vale (non sono uno storico dell’arte) mi convince di più la versione che i protagonisti ritratti siano Giovanni di Arrigo e Giovanna Cenami. (vedi: https://www.academia.edu/16510084/I_Lucchesi_a_Bruges_ai_tempi_della_signoria_di_Paolo_Guinigi_1400-1430_

  2. giuseppe ha detto:

    Grazie per l’esposizione che ha arricchito la mia conoscenza. Mi auguro di leggerLa di nuovo.

  3. Massimo Baldocchi ha detto:

    Bellissimo servizio peccato per alcune imprecisioni come quella relativa alla signora Arnolfini che era effettivamente incinta (così si legge sui libri di storia) e del fatto che non abbiate detto che Lucca aveva una sua sede commerciale nelle Fiandre ben prima del 1406 perché, come certo saprete, la città era rinomata in tutta Europa per la miglior produzione di tessuti di seta. Firenze non contribuì certo all’espansione dei commerci lucchesi che anzi cercò sempre di soffocare.

    • Grazie del tuo contributo Massimo. Tuttavia devo chiarire alcune cose (oltre al fatto che non serve usare il voi visto che sono una sola persona). Che la donna non fosse incinta l’ho letto su altrettante fonti. Ma, ad ogni modo, sia le mie che le tue restano comunque ipotesi dato che secondo alcuni la donna ritratta era già morta e secondo altri, in particolare Marco Paoli, si tratta addirittura di un’immagine allegorica e il nome Arnolfini una storpiatura del nomignolo che si dava ai ‘cornuti’.
      C’è poi da dire che l’articolo, più che all’identità dei personaggi, è dedicato a tutti gli oggetti della scena capaci, ad un occhio attento, di raccontare il Quattrocento nelle Fiandre.

  4. Stefano ha detto:

    grazie per la spiegazione di questo bellissimo quadro. Vorrei soltatno far notare una cosa, riguardo all’immagine riflessa nello specchio. La posizione dei coniugi (o promessi che siano) non corrisponde rispetto alla posizione della finestra e della cassapanca. Le cose sono due: o c’è una terza finestra nascosta oppure la posizione non corrisponde nell’immagine riflessa: la cassapanca ha le uova anche nell’immagine riflessa, per cui parrebbe essere proprio la posizione dei coniugi non congruente. E’ corretto o ho preso un abbaglio?

    • Se è per questo nel riflesso manca anche il cagnolino…
      Quello specchio è grande poco più di una moneta, difficile essere matematicamente precisi. Ci sono delle anomalie e degli aggiustamenti; possiamo considerarle delle ‘licenze artistiche’, delle piccole trasgressioni finalizzate ad una costruzione più chiara dell’immagine 😉

      • Stefano ha detto:

        grazie, infatti il quadro lo ricordo molto bene alla National Gallery e le dimensioni sono davvero relative, figurarsi lo specchio. Interessantissimo comunque

  5. feliciana ha detto:

    sempre preziosi i tuoi percorsi. Ti volevo fare i complimenti per l’articolo comparso qualche giorno fa su Repubblica, spero che i tuoi crediti sia apprezzati anche per il progetto “la buona scuola”, dopo essere stata testimone di tante mediocrità. BUON LAVORO con tanta stima e se mi consenti con un pizzico d’affetto.

  6. Claudio ha detto:

    Complimenti e grazie per l’articolo.

  7. rita ha detto:

    Interessante

  8. Roberta Costantini ha detto:

    molto carino!
    unica osservazione, mi sembra più convincente l’ipotesi che i due sposi siano Giovanni di Nicolao Arnolfini e Costanza Trenta, e che quindi la candela spenta dalla parte di lei indichi che la donna sia già morta:
    http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2009/08/23/LLAPO_LLA05.html
    Che si tratti di Giovanni di Nicolao Arnolfini è ipotesi accreditata anche dalla National Gallery: http://www.nationalgallery.org.uk/paintings/jan-van-eyck-the-arnolfini-portrait
    Certo, non è l’unica ipotesi…
    https://www.academia.edu/3649124/Il_Doppio_ritratto_di_Jan_Van_Eyck._Uno_sguardo_impertinente

    Un saluto, Roberta

    • didatticarte ha detto:

      Grazie per le osservazioni, Roberta 🙂
      Non mi sono soffermata molto sulle varie versioni delle identità perchè ciò che mi premeva era mostrare agli studenti quanti aspetti relativi alla società, all’economia, alla moda etc. si possono ricavare dall’osservazione di dettagli apparentemente secondari.

  9. Alessandra ha detto:

    Quante cose può dire un quadro! 🙂
    Ma… le uova? Un altro simbolo benaugurante fecondità?
    Cos’hanno detto i tuoi studenti degli zoccoli di lui? 😉
    Ho apprezzato molto la disamina. Grazie, Emanuela!

    • didatticarte ha detto:

      Parli di quegli oggetti sotto la finestra? Ho sempre saputo che siano arance… collegate dunque al matrimonio (fiori d’arancio) e alla sacralità (aranci del giardino della Vergine). Ho letto anche che nel nord-Europa le arance avrebbero anche il significato di frutto della tentazione invece delle mele… Boh!
      Gli zoccoli, naturalmente, sono di forma piuttosto strana, ma mai quanto le scarpe che indossano loro 😉

  10. Roberto Cafarotti ha detto:

    La cosa che maggiormente da sempre mi affascina di Van Eyck è la straordinaria abilità tecnica nell’utilizzo dei colori ad olio. Ciò che ancor più mi affascina è la relazione con il quasi coetaneo Guttemberg. Entrambi questi personaggi hanno rivoluzionato la tecnica espressiva. Il primo mediante l’introduzione della pittura ad olio e il secondo con l’invenzione – in Occidente – della stampa con caratteri mobili. Essendo stati dei precursori ci si sarebbe aspettato di ammirare opere d’arte si, ma ancora grezze, acerbe: causa conseguente della completa inesperienza del mezzo utilizzato. Invece non solo furono i precursori geniali delle loro tecniche ma ne espressero dei valori tecnici ed estetici così alti ed assoluti da risultare per molto tempo irraggiungibili, e per molti aspetti irripetibili. Un caro saluto.

  11. Lorenz ha detto:

    Che bel viaggio nelle Fiandre, grazie!
    Ora mi è venuta una gran voglia di appiattire delle bolle…

  12. Roberto Cafarotti ha detto:

    Grazie per la gradevolissima esposizione e la straordinaria capacità di esprimere concetti anche non sempre semplici e scontati, in una chiave di lettura efficace, puntuale e precisa.

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