Una passeggiata allo Städel Museum di Francoforte

Adoro andare per musei. Specie quando sono tranquilli ma ricchi di capolavori come lo Städel Museum di Francoforte.

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La cosa affascinante di questo museo è che percorre 700 anni di storia dell’arte europea, dal tardo Gotico al contemporaneo, attraverso un’infinità di autori. I più famosi ci sono tutti!

Il merito va a Johann Friederich Städel, un ricco banchiere che lasciò, nel 1815, la sua collezione d’arte alla città di Francoforte a patto che fosse esposta in un apposito museo pubblico. La sede attuale è quella del 1878, costruita per ospitare la collezione già notevolmente allargata. A questo edificio è stato aggiunto nel 2010 un ulteriore ampliamento progettato dallo studio Schneider+Schumacher: oltre 3000 mq di nuovi spazi espositivi sotto il giardino retrostante il museo.

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Giusto per andare in ordine ho iniziato la visita dal primo piano, quello dedicato ai ‘vecchi maestri’.

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Mi accoglie subito la Madonna di Lucca (1437) di Jan van Eyck. È il tipico dipinto fiammingo rinascimentale nel quale ritrovo tanti elementi dei più noti Coniugi Arnolfini: la cura dei più microscopici dettagli, la prospettiva centrale con asse di fuga, la gran quantità di simboli, il tessuto dalle grosse pieghe pesanti e persino la ‘vetrata a rulli’ alla finestra.

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staedel-museum-vanderweydenNeanche il tempo di spostare gli occhi che mi capita un altro grande fiammingo: Roger van der Weyden e la sua Madonna Medici (1450).

Dipinta su commissione della famiglia fiorentina mostra una sacra conversazione collocata su uno spazio piuttosto ambiguo: profondo per la prospettiva degli scalini ma piatto per il cielo d’oro con gli angeli costretti nella cornice.

Continuo a percorrere la sale. Mi spiegano che il colore delle pareti è stato scelto per poter riconoscere più rapidamente l’area geografica di provenienza degli artisti esposti. Così, da quella blu dell’arte fiamminga mi sposto a quella verde scuro dei tedeschi.

La luce arriva diffusa dai grandi lucernari. Pochi proiettori lungo la cornice aggiungono ciò che serve a far risaltare alcuni pezzi. Al centro grandi sedute minimali e una pavimentazione scura in pietra che rimanda agli spazi urbani.

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staedel-museum-cranachQui mi aspetta una Venere (1532) di Lucas Cranach il Vecchio. Un’opera davvero curiosa: il corpo deforme alla maniera di Cranach, i gioielli tipici delle nobildonne rinascimentali, uno sfondo nero privo di ogni riferimento al mondo mitologico, e i piedi poggiati su una superficie pietrosa, come su un minuscolo pianeta.

Vado avanti, ancora sala verde.

Hans Holbein in Giovane (quello degli Ambasciatori con il teschio anamorfico) è presente con un piccolo tondo, il ritratto di Simon George di Cornovaglia (1540). Nessuna rigidità alla Cranach, ma un delicato profilo reso ancora più aggraziato dal garofano rosso tenuto in mano.

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Ma quello che mi piace di più, nei musei, è scovare opere ‘minori’ senza madonne, senza divinità olimpiche, senza aristocrazia. Quadretti che mi deliziano perché dedicati a soggetti impensabili e improbabili. Come questa piccola Danza dei topi (1690) di Ferdinand von Kessels. Un girotondo delicato, quasi monocromatico.

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Per lo stesso motivo sono rimasta incantata davanti alla Medicina amara (1638) di Adriaen Brouwer. La smorfia del disgusto mancava alla mia collezione di espressioni nell’arte!

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Sala successiva. Alla parete una tela enorme, sempre del Seicento. È L’accecamento di Sansone (1636) del mio amato Rembrandt. Uno vero trionfo di luce e dinamismo.

Mi allontano per osservarlo meglio e… sorpresa! La scena è adorabile: un’anziana signora dorme saporitamente al centro della sala. Per un attimo sospetto che sia una scultura iperrealistica di Duane Hanson. Mi è già successo di trovarne una alla Staatsgalerie di Stoccarda. Però questa respira!

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Poi mi viene un dubbio: ma dorme o si sente male? Nell’incertezza decido di ‘sorvegliarla’… gironzolo nelle sale vicine e ogni tanto getto un occhio su di lei.

Bastano pochi passi per imbattermi in un altro pezzo forte. Stavolta è Johannes Vermeer con il suo Geografo (1669). Riconoscibilissimo per la luce calda e tenue che entra dalla finestra di sinistra accarezzando ogni oggetto della camera.

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I quadri che emanano luce sono per me una vera calamita. Per questo non resisto al richiamo di una marina di Jan van Goyen e di un interno di Pieter Janssens Elinga

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Nel frattempo la mia bella addormentata si è messa a sedere. Bene, vuol dire che si era solo appisolata un’istante. Ma, ma, ma… sta ancora dormendo!

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staedel-museum-junckerTorno al mio giro e un altro quadretto attira la mia attenzione. Una pera, una farfalla e una mosca. Solo questo. Una di quelle piccole tele che mi fanno impazzire. Una natura morta minima (1765) con un tocco di realismo molto spiritoso. È di un certo Justus Juncker.

Passo alle sale rosse, quelle degli italiani. Anche qui delle bellissime sorprese. Una testa di anziano settecentesca di Giandomenico Tiepolo. Bella, espressiva, con una luce spettacolare.

E poi Raffaello con un pensoso papa Giulio II (1511). La cosa che apprezzo di più è lo splendido contrasto tra i complementari verde e rosso!

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Non poteva mancare, poco più avanti, una bella veduta veneziana (1735)  di Canaletto. La chiesa della Salute sullo sfondo e il campanile di San Marco sulla destra. Nitidezza e precisione geometrica lo rendono riconoscibile anche a un chilometro di distanza…

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La signora assonnata, intanto, si dirige verso le scale. La seguo… ormai è diventata la mia fonte di ispirazione. Scende e si dirige verso una sala viola.

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Incredibile! È una mostra dedicata al retro dei dipinti. Un’altra di quelle curiosità marginali che mi affascinano talmente tanto che ci ho pure scritto un post.

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Fuori di qui c’è il piano dell’arte moderna. Qui si sta soprattutto sull’Ottocento. E si comincia con il mito tedesco, l’analogo del nostro Manzoni: l’onnipresente Goethe!

Il ritratto che lo vede sdraiato nella campagna romana (1787) è proprio qui. Sguardo romanticamente perso nel vuoto e frammenti classici come se piovesse.

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Gli ambienti di questo piano hanno un altro tipo di allestimento, più ‘asettico’: nessuna colorazione intensa per le pareti ma uno sfondo neutro che va dal bianco al grigio e un parquet scuro a lisca di pesce.

Comincio a muovermi tra le sale e mi sento nel mio regno: è pieno di quelle scene di genere che mi piacciono tanto. Pezzetti di quotidianità che assurgono al livello dei grandi capolavori del passato. C’è una colazione di Claude Monet e una piccola veduta con un’acqua vibrante e luminosa…

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… c’è una signora affacciata alla finestra di Fritz von Uhde (che merita di entrare nella mia collezione di figure di spalle) e un’orchestra di Edgar Degas dal taglio squisitamente fotografico…

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… sempre di Degas alcuni bozzetti di ballerine di cui uno insolitamente in carne!

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Non è l’unica scultura di queste sale. Poco più in là c’è Eva, di Auguste Rodin, che si copre il seno piena di vergogna. La scena è curiosa: un gruppo di studenti le dà le spalle, quasi a non volerla mettere ulteriormente in imbarazzo. So che non è così, ma mi diverte la situazione che si è creata spontaneamente.

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Ma le sorprese non sono finite! Ecco Gustave Courbet, l’autore di quadri che ancora fanno scandalo, con uno di quelli che considero i suoi capolavori: un’onda. Una semplice onda in un verde mare burrascoso, sotto un cielo di sabbia e di metallo. Una tela potentissima. Un ponte tra atmosfere romantiche e pennellate impressioniste, di quelli che ci resto imbambolata come una scema.

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Ci sono anche i miei simbolisti preferiti: Böcklin e von Stuck, il primo con una delle sue mortifere scene marine, il secondo con un’Eva conturbante che porge mela e serpente ad Adamo (ma come poteva mai rifiutare?).

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Ma la cosa più interessante dei musei non è tanto il fatto di vedere gli originali di tante opere d’arte, ma di poterne cogliere i particolari che le foto sui libri non riescono a rendere. Solo così si scoprono i segreti della pittura, la luce, le trasparenze, le profondità.

Allo Städel, ad esempio, c’è un tramonto alpino di Giovanni Segantini che sembra dipinto con stesure compatte di colore e qualche filo d’erba, ma se ci si avvicina si scopre che è composto solo da migliaia, anzi milioni di pennellate. È la tecnica divisionista.

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E l’altra cosa bella dei musei sono le relazioni spaziali e concettuali tra le opere.

Dopo essermi avvicinata alla tela di Segantini mi sono allontanata e l’ho osservata da un altro punto di vista. Una scultura di Wilhelm Lehmbruck le dà le spalle. Un guerriero stanco, un uomo scheletrico e rassegnato, incurante del paesaggio mozzafiato dietro la sua schiena. Cosa suggerisce? Che ci sono sofferenze talmente profonde che non c’è bellezza che le possa lenire?

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Ma è tempo di scendere nel piano interrato. Novecento sto arrivando!

E il Novecento mi accoglie subito con una parete di specchi a mosaico, quasi una visione bizantina della hall.

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Dietro di me una vera chicca: di nuovo lui, l’immarcescibile Goethe, in una versione pop firmata Andy Warhol.

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Le scale conducono nella nuova ala, uno spazio diviso in modo più libero, senza la classica sequenza di sale a cannocchiale e con un’interpretazione del vecchio lucernario in forma di bolle luminose distribuite sul tetto.

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Alle pareti tutti i maestri: c’è Albers coi suoi quadrati, una quadruplo taglio di Fontana, un accumulo di archetti da violino di Arman, un monocromo di Klein immancabilmente blu e tanto altro.

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Ciò che più mi attrae, però, sono le installazioni, quelle strane opere non classificabili né come scultura né come architettura.

C’è una corda che pende dal tetto e forma sul pavimento delle volute. Ci sono una sequenza di portali a strisce che creano un corridoio in prospettiva e poi una cabina dove lasciarsi immergere da luce satura di colore e un cerchio di terra rastrellato da un braccio girevole.

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Descritti così rapidamente non rendono affatto l’esperienza (anche di incomprensione) che suscitano questi oggetti. Io li trovo fondamentalmente divertenti, surreali.

Mi aspetto che dalla corda prima o poi scenda Arsenio Lupin e vada a rubarsi il van Gogh al piano di sopra, che un paio di bambini con pinne, salvagente e costumino attraversi allegramente i portali a strisce, che usciti dalla stanza cromatica ci resti addosso una luminescenza colorata e che dalla terra continuamente arata possano germogliare dei girasoli…

Alla fine del percorso (che conclusione perfetta per questa passeggiata!) trovo uno dei miei artisti preferiti. Sarà che ha lavorato con materiali di riuso, sarà che li ha disposti secondo lo spettro della luce, ma io vado matta per Tony Cragg! La sua distesa di materiali poveri recuperati dai rifiuti e disposti in amorevole sequenza mi commuove.

Come se volesse avvertirci che in età di sprechi e disuguaglianze si debba fare un passo indietro. Capire che non c’è nulla che davvero gettiamo altrove. Perché non c’è un altrove.

Ma questa è un’altra storia…

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Avvertenza. Solo le foto delle sale e delle installazioni sono fatte da me, le altre provengono dal web.

 

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28 risposte

  1. Domenico ha detto:

    Grazie per aver condiviso questi appunti di viaggio con una scrittura piana e briosa. Alla fine ho capito che visitando un museo, con le opere esposte, bisogna guardare oltre ed altro, dalla collocazione sistematica ai visitatori. Aver uno sguardo ampio e curioso….davvero una lezione preziosa. Grazie Emanuela.

  2. Dora Urbina ha detto:

    Grazie dal Messico. Cosi possiamo conoscere altri luoghi con la migliore guida.

  3. Ezio ha detto:

    che bella gita ci ha fatto fare!!

  4. enrica ha detto:

    La descrizione della tua visita è una poesia toccante e struggente… Complimenti e grazie

  5. clotilde giurleo ha detto:

    Interessante, come sempre ! Ma ora mi tocca andare anche a Francoforte ??!!

  6. maria teresa ha detto:

    grazie per avermi portato allo Städel di Frankfurt am Main !

  7. Cento Daniela ha detto:

    Grazie, grazie. grazie!

  8. Ermanno ha detto:

    Incantato per la presentazione di tanta bellezza. Grazie e buona fine estate.

  9. Elle ha detto:

    Che meraviglia, mi rendi meno noiose alcune sale in cui non saprei “cosa fare”…
    Ho scoperto di recente Segantini, Pellizza da Volpedo, il divisionismo: quadri enormi che sembrano fotografie! Continuavo ad allontanarmi e avvicinarmi per capire la neve con quali colori l’ha fatta, e quelle pagliuzze viola dell’erba che effetto danno sul prato, e il riflesso del sole? Se andrò a Francoforte cercherò questo museo 🙂

  10. Luisa ha detto:

    Emanuela riesci sempre a catturare la mia attenzione, grazie mille!!! Sei fantastica!!!

  11. Antonella Mazzobel ha detto:

    Lei è… insuperabile! Complimenti, davvero.

  12. Marino Calesini ha detto:

    questa mattina stavo andando di fretta… al diavolo gli impegni ! mi sono fatto questa piacevolissima visita- grazie-

  13. michele ha detto:

    Bellissima e divertente visita Emanuela

  14. Laura Mariano ha detto:

    Che meraviglia! Grazie!