Ritratti polimaterici: i volti fatti di oggetti

Basta davvero poco per creare un volto, anzi bastano solo tre elementi: due occhi e una bocca (o in alternativa un naso).

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Questo perché, per il fenomeno della pareidolia (di cui ho già parlato), siamo istintivamente portati a riconoscere una faccia anche da pochissimi indizi e non è necessario neanche che siano tratti verosimili: oggetti comuni e materiali di scarto possono tranquillamente trasformarsi in volti espressivi ed originali!

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È un gioco, se vogliamo. Ma “giocare è una cosa seria!” come ci insegna il buon Munari. Così seria che quest’idea di creare volti con gli oggetti ha un posto persino nei libri di storia dell’arte.

Mi riferisco al grande pittore cinquecentesco Giuseppe Arcimboldo (1526-1593), autore di decine di volti creati assembrando frutta, fiori, pesci, rami, libri e molto altro.

Ecco la sua celebre serie delle quattro stagioni (1563)…

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… ed altri ritratti che rivelano il gusto manierista per il fantastico e il bizzarro.

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Ma queste non sono le prime facce fatte di oggetti. C’è un buffo precedente, piuttosto audace, nella cosiddetta “Testa de cazi” di Francesco Urbini (1536), un piatto in maiolica decorato con un bel profilo… composto solo di peni!

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Non sappiamo a chi sia dedicato il ritratto… ma di certo non mancano in giro le fonti di ispirazione!

Sono noti invece i modelli per una serie di cartoline postali edite da Ernest le Deley (1859-1917) nelle quali i volti dei personaggi più celebri dei suoi tempi sono composti solo da grovigli di corpi femminili.

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Sembra quasi anticipare certe immagini surrealiste di René Magritte del 1934 e del 1948…

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Della prima metà del Novecento (esattamente del 1928) sono anche i volti di conchiglie di Pascal-Désir Maisonneuve (1863-1934). Ma stavolta non sono dipinti bensì composti da vere conchiglie disposte ad organizzare delle facce mostruose ma affascinanti.

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Il volto arcimboldesco, dunque, continua a divertire e meravigliare. Per questo molti artisti si cimentano ancora in questo tipo di composizione.

Ecco, ad esempio, i lavori di Carolina Amoretti e Matteo Abbo: assemblaggi fotografici digitalizzati di volti perfettamente simmetrici fatti di pasta, frutta, dolciumi o pietre preziose.

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Ancora più spettacolari sono i lavori di Bernard Pras: i suoi assemblaggi sono addirittura anamorfici. Occorre guardarli da un certo punto di vista affinchè possa formarsi il volto.

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Una specie di magia! Sembra un ammasso di cose vecchie… ma arrivati al punto giusto tutto torna al suo posto.

Molto più essenziali, ma ugualmente suggestivi, sono i volti di fil di ferro e poco altro realizzati da Christian Voltz.

Un ottimo spunto per ragionare su possibili attività manuali per gli studenti. Sì, perché la scuola 2.0 sarà anche bella ma incollare tappi, modellare i metalli e sporcarsi le mani lo è ancora di più!

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E non parlo solo dei classici “lavoretti” per i bambini della primaria. Penso, infatti, che sia fondamentale, anche per i ragazzi più grandi, sviluppare la capacità di guardare gli oggetti con creatività, con la capacità di vedere altro, al di là della funzione che li caratterizza.

Ne ho già parlato a proposito delle graffette ma vale per qualunque oggetto. E vale, soprattutto, come forma mentis: chi è capace di ribaltare l’uso di un oggetto sarà capace anche di affrontare i problema che si troverà davanti in modo, appunto, creativo. Cambiando punto di vista, cercando strade alternative, trasformando il problema in soluzione.

E questo è proprio quello che ha fatto Romuald Hazoumé, un artista africano che ha raccolto le taniche di petrolio abbandonate dai contrabbandieri in Benin e le ha trasformate in maschere tribali dell’era industriale… è proprio vero che dal letame nascono i fiori!

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Lo stesso desiderio di trasformare in arte oggetti con connotazione negativa è alla base dei lavori di Gonçalo Mabunda.

I suoi ready-made sono fatti con pezzi delle armi che hanno insanguinato il Mozambico per anni. Armi rese inoffensive, legno e metallo a cui è stata data una seconda possibilità, quella di dare emozioni.

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Isidro Ferrer, attore e artista, fa comparire, invece, i volti dagli oggetti più disparati ma sempre invecchiati, vissuti. Perché tutto ciò che è logoro e imperfetto è già carico di suggestione.

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Materiali misti anche per Jen Hardwick. Le sue facce robotiche, però, sono composte da decine di piccoli oggetti assemblati in composizioni ludiche e colorate.

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Ricordano molto i gufetti di Robyn Stewardson, composti solo da materiali trovati in cucina. Come dicevo all’inizio bastano due tappi, un becco, e il gioco è fatto!

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Gwen Murphy, invece, ha individuato dei volti umani addirittura nelle scarpe usate. Basta aggiungere un paio d’occhi e modellare la bocca per avere delle facce molto espressive.

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A volte basta ancora meno: Junior Fritz Jacquet si accontenta di modellare il tubo di cartone della carta igienica!

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Come diceva Picasso: “Ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, con l’aiuto della loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole”.

Ecco, creare dei volti con gli oggetti significa proprio compiere questo passaggio, trasformare anche il più umile dei materiali nel viso più comunicativo che si possa immaginare.

A Bela Borsodi basta un maglione o un giubbotto qualunque. Con le pieghe giuste qualsiasi cosa può assumere la forma di un volto.

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Pezzi di giocattoli usati per Freya Jobbins.

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Oggetti qualsiasi, soprattutto metallici, per Jim Shores.

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Naturalmente gli esempi possono essere infiniti. L’unico limite è solo una fantasia atrofizzata. Allora perché non svegliarla tentando di creare dei volti con ciò che vi circonda?

E chissà che, prova dopo prova, la macchia gialla diventi un giorno uno splendido sole!

 

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17 risposte

  1. Rosy ha detto:

    Anch’io ho fatto maschere con un nuovo materiale: le foglie secche delle palme della costa azzurra.

  2. clotilde giurleo ha detto:

    Grazie per le belle cose. Ho ricordato il volto di Mae West di Dali’ ed altre cose di questo grande artista

  3. Gianfranco ha detto:

    Verissimo… Croce e delizia… cosa sarebbero moda e design senza? Volenti o nolenti, il senso istintivo del bello e del “saper vivere” lo portiamo ormai nel DNA, io credo.

  4. Gianfranco ha detto:

    …anche secondo me: fantastico in senso semantico.
    Sai Emanuela, Baj all’inizio mi dava un senso di disagio, sicuramente voluto; poi ho apprezzato la sua vis creativa, immaginifica e umoristica. Non a caso era amico di Manzoni e Fontana. Tu hai più volte scritto sul brutto, inteso come arte… Noi italiani ci portiamo la classicità e il Rinascimento nell’inconscio estetico (e sulle spalle), nostra croce e delizia… Eppure “imago ergo sum” è perfetta per i grandi geni: Einstein così come Picasso, più volte ripreso da Baj: http://www.clponline.it/sites/default/files/08%20-%20Enrico%20Baj.jpg

    • Che peso quell’eredità! Ingombrante e “diseducativa”. Perché è facile dire che è bella una statua classica. E non siamo più disponibili a concedere attenzione ad altre espressioni artistiche che richiedono una comprensione meno superficiale.

  5. Gianfranco ha detto:

    …«Imago ergo sum».
    «Per il patafisico l’idea di verità è la più immaginaria fra tutte le soluzioni».
    Aforismi di Enrico Baj, milanese del gruppo del Bar Giamaica (Fontana, Manzoni, Buzzati…), patafisico e “patapittore” neodada:
    http://www.settemuse.it/pittori_scultori_italiani/baj/enrico_baj_006_uomo_con_grande_naso_1974.jpg
    http://www.artribune.com/wp-content/uploads/2016/07/Enrico-Baj-Ultracorpo-a-specchi-1960-©-Archivio-Enrico-Baj-Vergiate.jpg
    http://www.settemuse.it/pittori_scultori_italiani/baj/enrico_baj_028_personnage_decore_1963.jpg
    http://1.bp.blogspot.com/-aGzIRxR8iw4/UZofJ4fmsQI/AAAAAAAAC80/hFGOUHsCHnI/s1600/image088.bmp
    (Sulla Patafisica, «la scienza delle soluzioni immaginarie…» : https://it.wikipedia.org/wiki/Patafisica)

  6. LUIGI COLELLA ha detto:

    Ciao e complimenti per le belle cose che racconti.
    A proposito di questo post segnalo le case Kodra di Civita in Calabria.
    Potrai saperne di più nel link di seguito
    http://www.pennainviaggio.com/civita-comignoli-case-kodra/

  7. Giovanni Piccioli ha detto:

    Stupendo. Nell’opera di Bernard Pras è quasi possibile cogliere l’inconoscibile; è un’ottima metafora dello spazio tempo, di una dimensione oltre le nostre.
    Il mito della caverna di Platone, il mondo fenomenico e il mondo noumenico di Kant.

  8. Bellissima antologia di volti e di artisti: complimenti!

  9. Elisa ha detto:

    WOW, che voglia contagiosa…di CREARE!
    Ciao Emanuela, grazie ; )
    Elisa

  1. 25 Febbraio 2015

    […] Ritratti polimaterici: i volti fatti di oggetti. […]