Quello che dice il volto: le espressioni nell’arte

Rabbia, paura, disgusto, sorpresa, felicità e tristezza. Queste, secondo gli studiosi, sarebbero le sei emozioni primarie dell’uomo, corrispondenti ad altrettante espressioni tipiche del viso.

Identificate già da Charles Darwin che ne parlò nel suo “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali” (1872) le emozioni primarie sono state recentemente ampliate da Paul Ekman ed altri scienziati introducendo il concetto di microespressione e aggiungendo l’espressione del disprezzo… (come avevano potuto dimenticarlo? È talmente diffuso!).

 

Naturalmente, grazie ai nostri 46 muscoli facciali, tutti noi siamo in grado di esprimere un’infinita gamma di emozioni (si parla di 10.000 espressioni possibili).

Basta un soppracciglio un po’ più sollevato o un angolo della bocca leggermente abbassato per passare dal sospetto alla riprovazione, dal sollievo alla noia, dal sarcasmo all’espressione furbetta…

Eppure, nonostante si tratti di espressioni istintive ed universali con possibili varianti legate alla cultura di un popolo, l’arte non ha mostrato da subito interesse per questo aspetto del volto umano.

Fino all’avvento della scultura greca ellenistica (IV-I sec. a.C.), infatti, l’espressione tipica del viso era sempre indifferente ed impassibile. Non inespressiva, attenzione! Un volto come quello della regina Nefertiti (1390-1352 a.C.) esprime molto, comunica regalità, perfezione, fascino, ma non lascia trapelare emozioni…

Insomma, enigmatica e orgogliosa come solo la Gioconda di Leonardo duemilaottocento anni dopo…

Dunque, nell’arte mesopotamica, egizia e greca l’espressione del viso poteva oscillare al massimo tra una palese severità e un distaccato sorriso tipico della scultura arcaica.

Naturalmente il motivo non stava nell’incapacità di raffigurare le altre espressioni del viso quanto nel fatto che per i soggetti rappresentati da quelle civiltà (divinità e regnanti, soprattutto) era inopportuno evidenziare emozioni legate alla fragilità umana. Una dea spaventata o un faraone disgustato non ce li vedo proprio!

Per osservare delle espressioni un po’ più forti occorre guardare al teatro greco e alle sue maschere. Ma in quel caso era necessario enfatizzare ed esagerare le varie emozioni della tragedia o della commedia per caratterizzare i personaggi e renderne riconoscibile l’atteggiamento.

Nella scultura ufficiale, i primi “cedimenti” all’indifferente sguardo degli dei dell’Olimpo appaiono con i guerrieri di Skopas (420-330 a.C.): l’arcata sopracciliare si fa profonda ed implorante, gli occhi incavati e languidi.

Per la prima volta si parla di pathos, la manifestazione dell’interiorità, dell’irrazionalità umana, della sofferenza o dell’abbandono ai sensi, opposto al logos, il pensiero razionale e filosofico.

Ma il pathos, quello vero, doveva ancora arrivare. E sarà uno spettacolo di dolore e disperazione! Sto parlando di quel suggestivo gruppo ellenistico di Laocoonte e i suoi figli (I sec. a.C.) straziati dai serpenti marini mandati da Atena perché il sacerdote troiano non ostacolasse il volere degli dei e si compisse la distruzione della città.

Eppure questo resterà sostanzialmente un caso isolato. Nell’arte romana, ad esempio, sebbene i tratti siano meno idealizzati e il volto tendenzialmente realistico, le espressioni torneranno ad essere serie o meditabonde, senza grandi manifestazioni delle emozioni più intime.

È ammesso un leggero corrugamento della fronte come indice di profondità di pensiero e superiorità morale.

Prima che la sofferenza possa manifestarsi nuovamente con l’enfasi di Laocoonte bisognerà aspettare oltre milletrecento anni.

E, come in tanti altri aspetti dell’arte, è con Giotto che si recuperano le emozioni (insieme alla riscoperta del volto di profilo, dello scorcio dei corpi, della vera forma delle nuvole, dei cieli blu, del chiaroscuro che crea il volume e della prospettiva che crea lo spazio…).

Nel Compianto sul Cristo morto della Cappella degli Scrovegni (1303-1305) sembra quasi di poter sentire le urla disperate degli angeli che echeggiano nell’aria: si strappano i capelli, si asciugano le lacrime, si contorcono per il dolore!

Nel Rinascimento è di nuovo abbastanza raro trovare espressioni forti. Le eccezioni sono davvero poche.

Ci sono i volti affranti dell’Ecce Homo (1470) o del Cristo alla colonna (1475) di Antonello da Messina

… i Dannati all’Inferno (1499-1503) di Luca Signorelli

… e quelli del Giudizio Universale (1535-1541) di Michelangelo.

Avvicinandoci al Seicento, l’età del Barocco, è tutto un germogliare di espressioni disperate e pathos a bizzeffe. Non più associate alla passione di Cristo o al tormento dei peccatori, le emozioni si manifestano nei personaggi più vari.

In Caravaggio (1571-1610) c’è una Medusa terrorizzata, una Giuditta che trattiene il disgusto, un bambino spaventato, un ragazzo colto di sorpresa… insomma ogni sfumatura delle emozioni umane è di sicuro presente in uno dei suoi quadri.

Sono espressioni che l’artista contemporaneo Bill Viola ha esplorato attimo per attimo con i suoi video al rallentatore. Si può cogliere così ogni contrazione muscolare, ogni impercettibile deformazione di un volto pieno di dolore.

Ma restando al Barocco non è da meno Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), capace di fissare sul marmo lo sforzo di David, il deliquio di Santa Teresa o l’urlo di un dannato.

Ci avviciniamo così ad uno dei casi più originali della storia dell’arte e cioè lo studio delle espressioni umane di Franz Xaver Messerschmidt (1736-1783).

Attraverso una sessantina di busti, che lo scultore chiamava “teste di carattere“, l’artista tedesco esplorò le infinite emozioni che si dipingono sui volti esasperandole spesso come smorfie grottesche e liberatorie.

Della prima metà dell’Ottocento sono, invece, le opere di Louis-Léopold Boilly (1761-1845) nelle quali il pittore cerca di cogliere le espressioni più diverse.

I suoi stessi autoritratti sono una piccola galleria di emozioni…

I suoi personaggi, accalcati in un loggione in un giorno di spettacolo gratuito, rivelano un’umanità grottesca dalle espressioni più estreme.

Ma il suo capolavoro sono quelle “Trentasei espressioni del viso” del 1822, esasperazione di tutti gli stati d’animo e le smorfie possibili!

E trentasei sono anche i piccoli busti di parlamentari in creta dipinta ad olio che Honoré Daumier (1808-1879) realizzò nel 1832. Caricature dei vari personaggi ma anche ricerca approfondita sulla mimica facciale.

Mancano pochi anni al celebre “Autoritratto come disperato” (1845) di Gustave Courbet. Occhi sgranati, espressione spaventata: sembra che stia assistendo ad una catastrofe senza proporzioni…

Ma non è l’unico caso. Molto prima di lui Rembrandt (1630) si era rappresentato con un’espressione simile mentre nel 1900 sarà Giacomo Balla a ritrarsi in una curiosa “Autosmorfia”.

Pochi anni dopo l’autoritratto di Balla un altro italiano, Adolfo Wildt (1868-1931), rappresentò il proprio volto in un dolente altorilievo intitolato proprio “Maschera della tristezza” (l’opera in alto a sinistra, qui sotto) e realizzò molti altri visi estremamente espressivi e allo stesso tempo carichi di mistero per quelle enormi orbite vuote e profonde.

Intanto, con la nascita di fumetti e cartoni animati, l’interesse per le emozioni impresse nel volto è cresciuto enormemente.

I disegnatori si esercitano su una gran quantità di espressioni lavorando essenzialmente su tre elementi: occhi, sopracciglia e bocca. Piccole variazioni dell’una o dell’altra parte del viso possono determinare, infatti, sfumature psicologiche molto differenti.

Si tratta di un esercizio molto interessante anche dal punto di vista didattico: richiede spirito d’osservazione e una certa abilità nel tratteggiare i particolari. Solo con tanto allenamento si può diventare bravi come i disegnatori della Disney!

L’esercizio sul volto, ad ogni modo, non serve solo ad illustratori e animatori. L’artista scozzese Sophie Cave, ad esempio, ha pensato di creare un’installazione sospesa con centinaia di teste fluttuanti dalle espressioni più varie, al Kelvingrove Museum di Glasgow.

Se disegnare o scolpire può risultare troppo difficile può essere altrettanto interessante provare ad assumere alcune espressioni legate a particolari stati d’animo e fare degli autoscatti.

È un esercizio utile per comprendere le possibilità espressive del proprio volto… non a caso, un po’ per vanità, un po’ per allenarsi, è una tipica attività delle attrici di tutti i tempi!

Noi ci abbiamo provato anche a scuola. Ne sono venuti fuori dei selfie davvero interessanti!

selfie espressioni

Non so voi… ma io ho già uno specchietto in mano e mi guardo mentre cerco di fare la faccia arrabbiata, quella felice, quella terrorizzata, quella disgustata eccetera eccetera eccetera.

 

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35 risposte

  1. Diego Totis ha detto:

    Dovresti vedere la faccia soddisfatta che ho ogni volta che leggo un tuo post

  2. Luigi ha detto:

    Sei molto brava e di facile compressone, molto utile per i miei lavori. Ancora grazie

  3. Marino Calesini ha detto:

    Interessantissimo sempre molto interessante . Buon anno✨✨

  4. barbara ha detto:

    bellissimo! grazie, prenderò spunto per un laboratorio sull’espressività

  5. Claudia ha detto:

    Complimenti per il tuo blog! Interessante e divertente! Anch’io sono un’insegnante e molto spesso leggo i tuoi post per avere idee sul modo di fare lezione. Grazie.
    Volevo chiederti se potevi consigliarmi qualcosa sul tema delle maschere nell’ambito della storia dell’arte.
    Grazie infinite

    • Grazie per l’apprezzamento, Claudia. A me piacciono molto le maschere della commedia e della tragedia greca. E poi quelle di Ensor. Credo che si potrebbe fare un interessante lavoro sull’evoluzione della maschera, nell’arte e nella letteratura.

  6. Andrea ha detto:

    Articolo molto bello. Alcuni busti mi avevano ricordati il nostro rinascimento, quello dei compianti di cartapesta, legno e terracotta del Mazzoni e del begarelli. Materiali poveri ma che davano possibilità espressive forse più efficaci di quelle che dava il marmo

  7. Francesca ha detto:

    Sei fantastica i tuoi alunni sono fortunati! Faro una cosa simile alle elementari cercando di associare la musica a qualche espressione……

  8. Alessandro Moscatelli ha detto:

    Bellissimo articolo, complimenti mi permetto di suggerirle come spunto ulteriore questo street artist francese che ha curato un progetto molto interessante legato alle espressioni facciali sulla striscia di Gaza http://www.jr-art.net/projects/face-2-face

  9. Vincenzo ha detto:

    Bellissimo Lavoro!!!
    Grazie

    Vincenzo

  10. Antonella A. ha detto:

    Grazie, io aggiungerei in ambito tecnologico le emoticone , o la sintesi grafica due punti parentesi o altro segno per commentare ed esprimere un sentimento .

  11. Maria Luisa ha detto:

    Gradevolissimo ed interessante come tutte le cose che sto scoprendo attraverso i Suoi articoli. Grazie di cuore, mi sembra di ricevere infiniti regali di prestigio. Un abbraccio grande.

  12. Maria Rita Barros Justino ha detto:

    STUPENDO LAVORO.

  13. mirella ha detto:

    Grazie per quanto hai trasmesso, è molto interessante! Ciao a prestissimo

  14. osvaldo ha detto:

    Bellissima pagina, come tutte quelle del sito. In questa mi permetto di suggerire l’aggiunta di un video della performance di marina Abramovic “The artist is present”, o delle foto dei visi delle persone scattate a chi si sono sedute di fronte a lei. Grazie

  15. Cinzia ha detto:

    Sei sempre interessantissima da leggere. Splendido articolo

  16. Claudia ha detto:

    Articolo davvero interessante! Mi ha fatto venire in mente il paradigma del Pathosformel di Aby Warburg

  17. enrica ha detto:

    Splendida!!!
    Auguri di cuore e buon 2015!

  18. Daniela Dragoni ha detto:

    Interessantissimo!grazie…sarà per me un aiuto prezioso per un lavoro in classe….

  19. Elisa ha detto:

    Bellissimo! Con gli studenti abituati ai ‘selfie’ si può preparare un laboratorio espressivo davvero interessante. Grazie e buon 2015 : ) Elisa

  20. angela ha detto:

    Grazie!

  1. 22 Giugno 2016

    […] dico che un volto è espressivo potrebbe non essere chiaro cosa intendo fin quando non lo confronto con uno del tutto […]