Anacronismi nell’arte: scelte, non errori

Tra i tanti commenti che ha ricevuto l’articolo sulle donne che dipingono raffigurate nelle miniature, uno in particolare mi ha fatto riflettere. Diceva più o meno così: trattandosi di pittrici dell’età classica [questa qui sotto è Tamiri, V secolo a.C.], com’è possibile che dipingano la Madonna?

Timarete mentre dipinge

A parte che l’avevo brevemente spiegato nello stesso post scrivendo che la pittrice è “raffigurata dentro uno studiolo gotico mentre dipinge una Madonna con bambino, in una versione evidentemente aggiornata al Medioevo“, rimane il fatto che quell’anacronismo non ha nulla di straordinario: l’arte ne è sempre stata piena, ma noi non ce ne accorgiamo.

In questa Annunciazione fiamminga (1427-1432) della bottega di Robert Campin, ci sono, ad esempio, una marea di “errori”. Ma non sono incongruenze legate all’ignoranza dell’artista bensì chiare scelte stilistiche e soprattutto concettuali: attualizzare un evento, più o meno immaginario, accaduto oltre 1400 anni prima, significa sottolinearne l’aspetto di eternità.
È così che troviamo un bel villaggio nordico medievale (poco somigliante alla Nazaret dell’ “anno zero”), i committenti dell’opera (senz’altro non presenti all’epoca della visita dell’angelo a Maria) e dettagli architettonici in stile gotico (anche questi inesistenti in età antica).

trittico dell'Annunciazione

In effetti non c’è Annunciazione che non racconti esattamente l’epoca in cui è stata prodotta. Questa qui sotto, per esempio, è una tipica opera rinascimentale, con tanto di archi a tutto sesto e lesene corinzie. Ma è chiaro che anche questa ambientazione, immaginata nel 1480 da Lorenzo di Credi, non ha nulla di storicamente verosimile.

Lorenzo di Credi

È più “realistica” quella di Henry Ossawa Tanner del 1898, dove Maria sta in una stanza spoglia, non ha vesti preziose e l’angelo è una semplice presenza luminosa. Ma, anche in questo caso, l’artista non cerca di riprodurre l’evento fedelmente, ma di puntare sul suo aspetto soprannaturale esplicitandolo solo con la luce.

Henry Ossawa Tanner

D’altra parte già all’inizio del Medioevo, quando si cominciano a raffigurare personaggi vissuti secoli prima (come Cristo e gli apostoli), questi vengono rivisitati secondo la cultura dell’epoca.
In questa Ultima Cena (493-526) in Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna, i personaggi sono abbigliati alla romana e mangiano sdraiati come si usava nelle domus, cosa piuttosto improbabile per un gruppo di ebrei di Gerusalemme ma tipico della cultura tardo imperiale del luogo.

Ultima cena tardo imperiale

Mille anni dopo, lo stesso episodio sarà, ovviamente, ambientato in uno sfarzoso interno rinascimentale nell’affresco di Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio sulle pareti della Cappella Sistina.

ultima cena rinascimentale

Mentre a metà del Novecento l’Ultima Cena finisce dentro un solido geometrico nella visionaria versione di Salvador Dalì.

Salvador Dalì

La stessa cosa accade in altri episodi del Vangelo. Nell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (1423) il committente va a rendere omaggio al Bambino con tanto di seguito in abiti quattrocenteschi.

Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano

Anche in questo caso la scena appare del tutto naturale. Non scorgiamo alcun anacronismo. D’altra parte, oltre a essere pressoché impossibile per gli artisti raffigurare in modo filologico gli episodi del Vangelo (servirebbe l’aiuto di storici e archeologi), temo che sarebbe stato anche tremendamente banale. Secolo dopo secolo avremmo trovato Madonne vestite in modo identico all’interno di spazi identici. Che noia!
Forse è per questo che gli artisti storicisti non mi hanno mai appassionata. Perché alla fine, nel loro tentativo di tornare indietro nel tempo, creano immagini artificiose e comunque non storicamente provate. Come Leonida alle Termopili (1814) di Jacques-Louis David.

storicismo di David

Certo, anche quel genere appartiene alla propria epoca e ne racconta lo spirito, ma trovo che abbia sempre qualcosa di manierato.
Caravaggio, invece, della verosimiglianza se ne fregava e inserì la vocazione di San Matteo, avvenuta presumibilmente intorno all’anno 30, all’interno di un’osteria romana tra un gruppo di gabellieri vestiti con abiti seicenteschi.

vocazione di Matteo

Sarebbe triste immaginare che le storie sacre debbano somigliare ai kolossal di Hollywood nei quali, se il centurione porta l’orologio, il film è rovinato…
Il bello dell’arte, invece, è che è sempre un po’ surreale: racconta la propria epoca anche quando racconta quelle passate. E riesce a tirarne fuori dei nonsense che accettiamo serenamente. E ce li godiamo pure!

 

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9 risposte

  1. Andrea ha detto:

    Grazie, interessantissimo “viaggio” e riflessione!

  2. Paolo ha detto:

    Wow! Non conoscevo quella di Henry Ossawa Tanner! Più che realistica, io ho spinto la mia attenzione sul ssingolare! L’espressione del viso, unita all’ambientazione…sempre bello leggere e scoprire…bell’articolo. Grazie.

  3. Marcello Cucurachi ha detto:

    p.s. tutto bene, ma l’anno zero non è esistito; in matematica gli anni sono infatti numeri ordinali e non numeri cardinali: l’anno successivo al primo a.C. è stato il primo d.C.

  4. Marino Calesini ha detto:

    Molto interessante !!

  5. Meni ha detto:

    Muy bueno